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Scacco!

Caterina dice che aspetta ogni mercoledì a partire dal mercoledì sera. Che è il suo piccolo momento di piacere.
Io non mi faccio illusioni: dice tante cose.
Quando arrivo ha già messo al loro posto i pezzi sulla scacchiera e i cuscini, visto che giochiamo sul pavimento e ogni partita dura un’ora o più.
“Non tocca a me il nero” faccio, come ogni volta.
“Si invece” dice lei, accarezzando i suoi pedoni bianchi come se fossero un piccolo esercito del bene.
Non è giusto, lo so, chiedete a chi ne capisce.
Ma io Caterina non la contraddico, per me da quando ha bevuto il detersivo, ed è stata dieci giorni all’ospedale, e poi un mese alla Procaccini, dove diceva di essere la Madonna, che faceva i miracoli e cose così, e poi un giorno l’hanno portata a casa per disperazione, e da allora si è stesa sul letto, lisciando in continuazione il cane Pallino, senza mai parlare, storcere un nervo, sbattere gli occhi, bevendo Red Bull dalla cannuccia, ma vomitando crema gialla se la mamma le imboccava gli anellini, o un formaggino, o un fruttolo alla pesca, e dopo che un giorno ha smesso di carezzare Pallino, ha girato la testa e mi ha chiesto a bruciapelo “che giorno è, oggi?’, e io ho balbettato: “me-mercoledì”, e allora lei ha fatto: ”giochiamo agli scacchi?”, con la stessa naturalezza di chi domanda un bicchiere d’acqua, dopo tutto questo po’ di Dio per me giocare a scacchi, un cosa che detesto, primo perché non so pensare a due mosse di fila, poi perché a stento conosco la dama, per me, dicevo, giocare con lei è come Dante che si siede al tavolino e comunica con l’anima di Beatrice. Tanto per dire, no?
Il guaio è che rispetto all’esempio sto messo male, assai peggio di Dante, perché io Caterina non l’amo più. Da quando ho incontrato Valeria e la palla del bowling mi scappò di mano, e fece strike nel box di fianco, e naturalmente l’aggeggio la restituì a quelli del suo gruppo, e io corsi per la la corsia a riprenderla, e loro gridavano: “bastardo, piglia sta boccia e vattene affanculo”, e io ritornando alzai gli occhi e vidi Valeria, che mi sorrideva e poi rideva e poi mi guardava coi suoi occhi così, e allora non so che diavolo mi prese e inciampai, e caddi lungo steso per terra, e quella porca boccia rotolò fino a lei, e allora andai a pigliarla ma lei rideva e sorrideva e si aggiustava i capelli, e io guardavo Valeria e Valeria mi guardava, e Caterina guardava tutti e due, da quella sera del bowling per me è esistita Valeria e basta. Talmente tanto che in pizzeria lei e i suoi amici capitarono alla tavolata di fronte alla nostra, e Valeria mi guardò e sorrise ancora, e poi disse a un suo amico, un certo Marco, “Io mi siedo là!”, indicando proprio il posto di fronte a me. E Marco, che le andava appresso, disse occhei senza neanche un ma. Per fortuna non ero all’impiedi come al bowling, se no sarei cascato stavolta senza boccia, e così stetti a guardarla per tutta la sera, e a mangiare pizza e i suoi occhi, mentre lei sorrideva, sorrideva talmente che Caterina mi chiese: “ ma che hai stasera, qualcosa non va?”, e nel dirlo incavò un poco la testa, e io ho sempre pensato che volesse piangere, ma piangere forte, tanto tanto che secondo i medici fu a causa della rabbia che per due giorni non aprì bocca, non venne in facoltà e tenne tutto dentro finchè la mattina del terzo – ha ragione lo psichiatra, era proprio un mercoledì – andò in bagno e bevve il detersivo. Ma non era questo il punto, i medici aggiungono – “non se ne faccia però un colpa, per carità” – che la crisi psicotica manifestata al risveglio sia dovuta a quel trauma lì. Sindrome psicotica giovanile con tendenze suicide, questo scrissero in cartella alla clinica Procaccini. “Ma adesso le stia vicino, ne va del recupero”, si raccomandarono la mattina delle dimissioni. Mentre giù in accettazione, mi disse sua mamma, lei faceva gesti nell’aria che va a sapere cosa avesse per la testa.
Ora io di queste malattie non ci ho mai capito, anzi, a essere sinceri, ho sempre pensato che ne soffre chi ha una lesione al cervello, o una cosa così. Oppure che l’esaurimento ti viene se hai studiato come un cane e il professore ti fa ‘torni il mese prossimo’. Ma sant’iddio, credere di essere Maria Vergine, ma convinta eh, e un giorno che ero andato alla Procaccini sentirmi dire da lei: “mi sono accorta che il pavimento della camera va in salita, è colpa del diavolo!” , questa è roba da barzellette, tipo il tizio che crede di essere Napoleone, e comunque: la Madonna mai.
Perciò, data la gravità della crisi psicotica, quando Caterina ha deciso di riaprire col mondo, e guarda caso con me in particolare, la madre, il padre, suo fratello che lavora in banca, e soprattutto lo psichiatra, mi hanno come sequestrato. “Lo vedi? tu solo sei capace di portarla alla ragione”, sono saltati a ripetermi in coro. Ho capito, ma mica posso?…. io con Caterina…. sì, ci siamo amati, ma dove sta scritto che io e lei… insomma, adesso c’è Valeria!
Ma no ma no, ancora un po’ e ci siamo! E perciò ogni mercoledì, sempre mercoledì alle sette di sera, salgo zito zitto in camera sua, ci sistemiamo per terra sui cuscini (così non le viene l’ossessione del pavimento in salita, presumo), faccio finta di allungarle una carezza, lei annusce soddisfatta, e poi subito fa: “Prendi tu il nero, occhei? ”. Come se la cosa mi procurasse dispetto, poverina.

“Quando le concederà il bianco significa che è guarita ”, ha rivelato lo psichiatra.
“Sì, ma quando?”, non fa che chiedermi Valeria dopo fatto l’amore.

Carlo Capone

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