A Berlino ci sono andato con l’handicap di mia moglie, che i tedeschi non li ha mai avuti in simpatia. Può darsi che avesse ragione, e forse dipendeva dall’aver visto troppi film di guerra con i crucchi sempre nella parte dei cattivi.
A rafforzare il preconcetto c’erano due episodi che non ci avevano ben disposti. A Monaco, nell’81, capitammo in un ottimo albergo con camerieri scostumati e arroganti. Ma io pervicace, e stavolta si era nel 2000 a Strasburgo, volli di nuovo trascinare la famiglia in Germania, per una gita oltre Reno a Baden Baden. Dunque siamo entrati in una pasticceria e le virago del bancone scrutavano torve, mai capito se solo noi o l’intero genere umano.
Berlino no, Berlino la custodivo dentro, ritenendola un luogo dell’anima e della ragione. E questo vale, io credo, per chiunque nato nel secondo 900.
Berlino ci ha accolto innanzitutto sull’aereoplano. Siamo abituati al vivandume spartano e a pagamento di tutte le compagnie, low cost e di bandiera. Tant’è che quando una silenziosa hostess dell’Air Berlin ci ha servito una buona colazione mi sono detto “ma chi l’ ha autorizzata, visto che si paga?”. Ho arguito, da italico malpensante, a questo ho pensato, senza che mi sfiorasse l’idea che tutta quella roba era offerta, come poi avrei constatato. Anzi ho fatto anche una figura di cacca, perchè ho aperto il portafoglio e quella mi ha guardato con disprezzo, come a dire “ma va là, puzzone”.
E non è finita, al portello di uscita ho visto altre due assistenti [ma quanta gente lavora in Germania?] con grandi ceste di cioccolatini. Ugualmente compunte e persuase di compiere una missione [ i tedeschi, tutti i tedeschi, intendono il lavoro come servizio assoluto, fossero anche l’incombenza dei becchini] facevano cenno di servirsi. E io mi sono servito, arraffando alcuni di quei grossi cuori di cioccolata e sentendomi a rischio di una guardataccia. Invece una delle due ha sorriso invitandomi a fare il bis. Tiè.
All’aeroporto di Tegel non ci sono navette o treni per il centro, devi prendere il bus urbano o il taxi. Io propendevo per il secondo, poi mia moglie, che andava convertendosi a nuova religione, mi ha fatto osservare che di quei bus ne erano passati due in pochi minuti. E così ho chiesto a un tizio in uniforme da autista dove potevo pagare il ticket. La domanda gli ha procurato una gioia per me incomprensibile, con un ampio sorriso mi ha accompagnato al distributore e svolto lui l’operazione. Costo: 2,5 euro a persona. E sì che mi aspettavo un salasso, perché a Londra, per dire, il treno da Heathrow fa 8 sterline, a Parigi sui 5 o 6 euro, a Berlino paghi men della metà e in mezz’ora ti godi il cipollone in cristallo della Cancelleria.
Già, il vetro. Berlino è una città di verde e cristallo, quest’ultimo a mio giudizio usato per due ragioni. Una è pratica, se li rivestiti di vetri gli edifici ti succhiano fino all’ultima goccia di luce, e Berlino di sole non ne vede tanto. Il vetro, poi, è il miglior antidoto al cemento. E poiché di calcestruzzo ne occorreva parecchio, ecco che il cristallo, la gioia di vivere, il bisogno di chiarezza, si sono fusi nella dimensione del postfuturo. Sto parlando della sua architettura.
E non fa niente se il trionfo di spigoli, oblique vetrate e ardite soluzioni a volte possa sconcertare, l’incarnato urbanistico della città assorbe ogni tipo di struttura restituendola a una percezione di godibilità.
La seconda ragione di tanto cristallo è di ordine concettuale. Si ha la sensazione che questa Germania che si specchia nella ritrovata capitale aspiri a un’idea di trasparenza, assoluta, un bisogno che ho avvertito nell’aria insieme alla sobria contentezza di vivere dei berlinesi. E perciò hanno divelto ciò che è inutile ciarpame, vale a dire le centinaia di chilometri di Muro, conservandolo per quei pochi tratti da gettare in pasto all’ansia del turista. Ma ad una condizione, che l’affamato visitatore mediti e si attardi in una sorta di museo all’aperto, prospiciente al Muro, dove è esposta la più grande bacheca a cielo aperto che abbia mai visto. Ci trovi tutto in tali vetrine, vi fluisce la storia tedesca dal ‘19 al regime comunista riassunta in prime pagine di giornali, lettere di autorità e foto, tantissime foto. E sarà pure un luogo comune, ma il titolo a caratteri cubitali con cui si annuncia la vittoria di Hitler alle elezioni del 33 fa ti incide le ossa.
Alcuni resti del Muro sono stati lasciati intatti perché il murales che vi era impresso appartiene a dei poster famosi. In questo che segue l’ironia del writer ha attinto vette sublimi. Si distinguono Brezhnev e il suo degno compare, Walther Ulbricht, che si baciano alla maniera dei comunisti slavi. Ulbricht fu “l’eroico segretario” del PC della DDR. Fra le innumerevoli sue perle mi ha colpito di quando lo informarono che tutti i prodotti di largo consumo della Germania dell’Est erano al di sotto di ogni minimo livello di decenza, e il nostro rispose “allora andranno benissimo per il nostro popolo”.
Sempre nel suddetto Museo ci sono oggetti, filmati e notizie che descrivono minuziosamente la vita e le abitudini di quel popolo, perfino gli stipendi. Un ingegnere guadagnava 1200 marchi dell’est, cioè carta straccia, un farmacista 900, un operaio 1400 e un minatore 1600.
Qui sotto invece è mostrata una confezione di anabolizzanti che davano ai loro atleti
Riguardo ai filmati ce n’è uno del TG orientale dei primi 70, in cui si descrivono le meraviglie del piano edilizio quinquennale. Con esso si intendeva dare una casa a tutti i cittadini, anche se la mancanza di abitazioni, si spiega nelle scritte conclusive, fu per i tedeschi orientali un assillo fino a tutti gli 80. Ebbene, c’è un’attempata signora cui finalmente è stato assegnato l’alloggio in un cupo alveare multipiano. Con espressione sottomessa ringrazia il governo perché l’appartamento, di una camera e mezzo, ha pure il bagno e la cucina, e l’affitto è di soli 70 marchi al mese. Però dopo chiede: “ sarebbe possibile avere l’acqua calda almeno la domenica? così d’inverno mi posso lavare”. Nessun cenno al fatto che il casermone è sprovvisto di impianto di riscaldamento.
Il centro di Berlino a prima vista ho pensato fosse quello del rutilante ex settore occidentale, invece esiste una notevole differenza fra il Mitte e l’area della KundumStrasse.
Il Mitte è il centro dell’attuale Berlino pantedesca e in pratica coincide con quello della vecchia Berlino Est. In vent’anni l’hanno rifatto nuovo, nel senso che a parte la maestosa Unter Den Linden ( il viale della Porta di Brandeburgo, dove si affacciano le ambasciate delle grandi potenze e lungo il quale sfilarono le SS all’indomani della presa del potere) al posto della grigia e burocratica capitale comunista oggi sorge un complesso di quartieri in cui svetta il meglio della moderna architettura e fa mostra di sé una orgogliosa offerta di beni. Mai ostentata o pacchiana, tuttavia, perché il marchio elitario di Berlino è la misura. E perciò come non ricordare le gioiellerie, gli show room di auto prestigiose, la Bugatti!, e gli eleganti shopping center per tutte le tasche disposti in verticale o sotto terra, dove ancora la luce, il cristallo, l’ampiezza e l’arredo degli ambienti accolgono il visitatore con leggerezza.
E però mai distrarsi a Berlino, quando meno te l’aspetti la città ti scuote avvisando che il posto è per menti sottili. In pieno Mitte c’è una delle maggiori stazioni ferroviarie cittadine. All’uscita da puntualissimi, e costosi, treni regionali ti aspettano questi.
Ti domandi cosa c’entrino i bambini. C’entra che in questa città, così nuova e futuribile, dove neppure un mattone d’ante guerra è rimasto in piedi, non c’è spazio per l’oblio. Da quella stazione partivano i bambini per i campi di sterminio. L’artista li ha colti nell’attimo di avviarsi al treno, chi con la valigia scompigliata, chi ancora con la cartella di scuola.
L’altro centro, dicevo, è il Kun, un viale chilometrico dove il gusto europeo e l’ architettura hanno in parte preso il sopravvento. E’ la Berlino Ovest gioiosa, spensierata, solare, così come grigia, spettrale, burocratica doveva apparire quella orientale. Basta guardare questa facciata per capire.
Oppure guardare a uno dei tantissimi bistrot dove peraltro ho mangiato, cedendo alla italica accezione di stampo provinciale.
Le altre volte però sono andato in locali tedeschi, così assistendo al crollo dell’ennesimo luogo comune: a Berlino si mangia bene, abbondante e si paga relativamente poco.
Alla faccia della nouvelle cousine, che io detesto.
C. Capone