La Disubbidienza (2001)



Quando mi ha detto 'va, e cosi sia' ho annuito e sono andato. D'istinto, senza riflettere, il cruccio da osservanza volto in rispetto. Sono andato; e come tante, infinite volte ho ucciso me stesso.
Non ho mai esitato.
Ogni volta che ha chiesto ho eseguito; ogni volta che ha voluto ho ambito; ogni volta che ha odiato ho condiviso. Ma questa notte, questa sera di aprile, con i profumi, i sussurri, gli odori - dolce!, così dolce da turbare i pensieri - questa notte io non so, non riesco. Il vento di mare, un soffio che muove le foglie e carezza gli ulivi - come un padre la fronte del figlio, la neve i germogli di grano - quest'alito scuote il mio cuore, ne agita i rami.
Solo, soltanto con le paure. Senza che a lui importi, accudisca i desideri, i rimpianti, le seduzioni. Solo. Come un randagio in cerca di pane, un naufrago senz'acqua, un cieco in una piazza. Solo! In silenzio con i miei rancori.
Ma che ne sa, che capisce di me? E perchè, per quale ragione se ne sta zitto e cela il senso di un'impresa che sfugge? Dice di amarmi - l'ha detto, ripetuto più volte - è certo di conoscere il bene, di poter distinguere il giusto dal male e di comprendere, lui sì, lui sì più di me, cos'è l'amore. Dice. Ma io solo ho visto il pianto di un bimbo e la madre soffrirne. Io ho annusato il profumo del vento, udito il silenzio di un'alba, goduto l'incanto di un cielo. Io -più di lui, ne sono certo- ho ascoltato gli ulivi, visto i volti sfiorarsi, due giovani amarsi. E quante volte ho letto la fede107 negli occhi del vinto, la fiducia in quelli di un morente, l'amore sul viso di un reo.
Solo, solo con i miei rimpianti. In questa notte che non sembra finire, in questo buio che opprime la mente, nel silenzio che riaccende i ricordi. Il ricordo di lei.
"Non importa", mi disse, "saprò capire. Qualunque sia la tua sorte"
"Non puoi, tu non sai", ne evitai gli occhi. E strinsi i miei.
"Mi ami?", sentii il suo fiato sul labbro. Fu un attimo, caldo come la sabbia d'agosto, freddo come il gelo di notte, e percepii quel seno. Turgido, impetuoso, esigente.
Dov'eri? te lo chiedo in ginocchio, con la forza che in quanto genitore mi ispirasti. Dov'eri? Invano ho sperato in un segno, invocato un gesto, uno solo, lieve lieve, che mi desse l'ardire. E invece no, non venisti, a spiegarmi cos'era la linfa, il fuoco improvviso che mi arse le vene.
"Mi ami?", sentii ancora e poi nulla. Due labbra furenti infuocarono le mie, e una pioggia di stelle incendiò i desideri.
Anche adesso fatico a riflettere, una coltre di cenere affoga i ricordi. Ho i pensieri arruffati, una mano cattiva mi afferra la gola, il vento, il soffio suadente, è cessato di colpo. E gocce dagli occhi si uniscono a quelle, comunque salate, che trasudano in volto. Insieme si mescolano e scendono giù, tra i solchi del labbro, dove il gusto accresce la rabbia.
Era un uomo, il pescatore sul lago. Credulone e violento come solo un uomo sa essere. Sentivo il fresco dell'acqua, il cedere lieve dei ciottoli, quando insieme issavamo la barca.
"Sei strano", mi disse un mattino. I suoi occhi erano lampi gentili, il sorriso lo specchio del cielo.
"E tu il primo", risposi di getto.
"Pazzo", sorrise di nuovo, scuotendo i riccioli scuri.

Pazzo, questo hanno deciso che sia. Pazzo. Ecco il frutto dei sublimi disegni, del tuo sordo volere, dell'immenso egoismo. 'E' matto', risero a mia madre quand'ero bambino. Plasmavo il fango in forme di rondini. 'Pretende si levino in cielo', riferirono al padre. 'Ma chi sei?', mi disse la sera, 'io non ti conosco'.
Pazzo. Ecco il marchio, il sigillo irridente alla tua smania di essere. Pazzo, finalmente scorgo, distinguo, riesco ad intendere il senso delle mie fantasie. Avevano fame e avevano sete, erano stanchi e in cerca di asilo ma io…io non seppi che fare.
"Sete e fame", pensai solamente, "non obbediscono ad altro che ad esse" .
'E' matto', andò e disse allora chi ordiva, 'pretende di conoscere il giorno e la notte, ritiene di amare la parte per il tutto, ma non sa nutrire nemmeno due stolti'.
Io lo vidi il vecchio, sulla strada del mare. Aveva un abito fatto di stracci e due fossi invece degli occhi.
"Mi hanno detto che puoi", ne sentii il lezzo. E non c'era amore, nè fede107, nè pietà per se stesso, in quel tono. Solo rabbia, desiderio inumano di essere. Come il tuo e come il mio.
"Vattene", gli soffiai appena, la voce rigata di stizza, tre chiodi conficcati alla nuca
"Vattene, scappa", hanno supplicato lui e lei questa sera. C'era puzza, in quella taverna, un tanfo di rancido misto a sudore. Giovani in armi, dai corpi bagnati, entravano a gruppi e chiedevano vino.
"Sa di aceto", lui mi ha detto saggiandone appena. L'ho bevuto, guardandogli il viso. Era in ombra sotto un grande cappuccio, ma gli occhi!, quello sguardo era brace nel buio.
"Prendi questo", ho allungato del pane. Era secco e sapeva di muffa.
"E' amaro", l'ha quasi sputato.
"E' amore", gli ho preso il polso.
"E' l'ora", lei mi ha stretto il mio.
"E così non sia", ho annuito a nessuno.
Scuro. Silenzio e ombre. I giovani in armi che tacciono. Qualcuno ha portato le dita allo stilo, un altro l' ha fermato toccandogli il braccio. "Non ancora", m'è parso dicesse.
"Scappa", ha ridetto lei. "Scappa, se davvero mi vuoi".


Carlo Capone


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Da un mondo all'altro (Baldini & Castoldi - La Tartaruga) - copertinaPubblicato nel volume "Da un mondo all'altro"
(Baldini & Castoldi - La Tartaruga, 2006),
antologia di nuovi autori curata di Bruna Miorelli
e con prefazione critica di Gianni Turchetta
Autore: Bruna Miorelli, Gianni Turchetta (Prefatore)
Pagine: 272
ISBN 88-7738-448

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