Roberto Saviano, un piano per ucciderlo


Roberto Saviano, un piano per ucciderlo

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Saviano allo specchioCiò che mi preoccupa della epica tragedia di Roberto Saviano è quel senso di esclusione che sta provando, pur nella stima e l'ammirazione generali. Vive separato dalla gente e, temo, da se stesso. Comincio a leggere di una sofferenza intensa da perdita di affetti e relazioni, di gente che lo evita, di familiari che protestano - stando a Repubblica- ' ci siamo levati gli schiaffi di faccia per uno spettro'. Lentamente, inesorabilmente, la camorra sta tessendo la sua trama, che è appunto fatta di autosegregazione, di perdita di affetti e soprattutto dubbi. Per la prima volta in due anni leggo di un Saviano che si interroga angosciato: ("Valeva la pena?") e per la prima volta torna prepotente il ricordo del suo amico e mentore, don Peppino Diana. Io lo vidi, don Peppino, era il 1992. Andai ad assistere a un convegno con don Ciotti e altri esponenti civili di frontiera, in San Domenico Maggiore a Napoli. Come toccò a Don Diana saltò ogni regola. Era a metà di un discorso accorato quando a un tratto scosse la testa, nel gesto tipico di chi non crede più a niente, slacciò il colletto, gettò all'aria le carte e abbandonò un'aula impietrita. Si stava parlando di nuove aperture della gerarchia ecclesistica su svariati temi ma poi il discorso esulò dallo specifico e prese la strada della critica alle gerarchie di qualsiasi tipo. Fu qui che don Peppino esplose, denunciando una collusione e una compromissione ai più vasti livelli. Quando fu uscito chiesi a un magistrato, all'epoca mio amico, chi fosse quel ' pazzo infuriato'. E' un prete impegnato contro la camorra a Casal di Principe - rispose - e chinò il viso.
Don Peppino Diana fu ammazzato nella sua chiesa, era la mattina della domenica delle Palme di 2 anni dopo, con due colpi in fronte. Saviano l'ha giustamente ricordato e direi resuscitato nel suo libro. Nel quale è ampiamente citato anche quel magistrato che mi diede l'informazione. Stessa sorte? non credo, non penso e non voglio. Il povero don Peppino era uno sconosciuto senza armi, fatta salva la sua parola. Saviano, addestrato alla sua lezione, quell'arma l'ha affinata in letale, rendendo la parola scritta e divulgata. E però oggi mi chiedo. Se bastò un curato di paese a imbestialire il mostro, tanto dava fastidio sia pure in ambito locale, cosa avrà scatenato nella sua mente ferina il terremoto globale di Saviano?

Carlo Capone




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