RACCONTI: L’infermiere del dottor Freud


RACCONTI: L’infermiere del dottor Freud

Pubblicato da: Admin  /  Letture: 2899  
L’infermiere del dottor Freud
di Carlo Capone

Sono a servizio da un cialtrone: un impostore che si spaccia per medico e rovina i pazienti. Lui, il Dottore, deve aver intuito che ho dei sospetti, insomma che nutro dubbi su cosa accada nel suo gabinetto. E se oso chiederglielo, se mi azzardo a fare domande, sapete che risponde? “Cavo denti”. Con una puzza, ma una puzza al naso così rivoltante che, al confronto, quella del gabinetto dove presto servizio è profumo di viole.
Ma che cavi, imbecille! a chi vuoi darla a intendere? Hai ragione che sono un cafone di campagna, un poveraccio che allunga la carta igienica ai clienti in uscita dal tuo studio. Già, perché il signor Professore non lo dice, non ammetterà mai che il suo trattamento provoca certe paure, un tale turbamento, che i suoi assistiti, al termine della seduta, devono precipitarsi dove sto io di guardia.
I servizi sono in fondo al corridoio. Ho perciò il tempo di studiarli con cura. Certe facce! parlano da soli come scemi, barcollano da ubriachi e qualcuno piange addirittura.
“Come va? Fa molto male?”, chiedo.
“Non ne parliamo, un supplizio”, rispondono tutti. Eccetto alcuni. Che arrivano trafelati, restano dentro un bel pezzo e riemergono più stralunati di prima. “Tutto bene?”, domando. “Sì, sapessi che libido!”, fanno così con la mano. E se la svignano senza neppure deporre la moneta nel piattino.
Una volta è toccato a un distinto signore, uno coi soldi, si intuiva dal vestito. “Se sente così male perché non va da un altro?”, gli ho chiesto. “C’è solo lui sulla piazza”, ha allargato le braccia e si è messo a ululare, dal dolore suppongo, come un lupo in calore.
Un altro, poi, ha superato ogni fantasia. Alla medesima domanda ha risposto: “E’ una droga, non posso farne a meno!”, ed è rientrato in gabinetto – il mio, per l’esattezza - dimenticando di chiedere la carta.
Per non dire delle pazienti. Ma che ci fa alle donne ‘sto demonio? Escono da quella porta col viso tutto rosso, stravolte, neanche provenissero da una notte di amore. E’ il caso della signorina Dora, un gran pezzo di figliola, la quale gli porta anche il regalino. Non ne ho capito la ragione, forse è un modo per addolcirlo, una supplica perché non calchi la mano. Ma voi credete che il signore si addolcisca? Pensate faccia almeno il gesto di scartocciare? “Restituisci questa roba alla signora”, mi ordina dalla soglia dello studio, mentre la poveretta scappa in singhiozzi. Lui, nel frattempo, se ne sta impassibile, senza un filo di emozione, lisciandosi il pizzetto con aria assorta.
Una volta non ho resistito e gliel’ho detto.
“Scusi, Dottore, ma perché non cambia tipo di anestesia?”.
Apriti cielo. Ha stretto le palpebre e arricciato il naso, un ghigno che a vederlo fa venire il mal di denti.
“Guai, se lo usassi”, ha sentenziato, sbattendomi la porta in faccia.
Ora io dico. Vi pare mai possibile che un dentista provochi un dolore cane, disdegni l’anestetico e ne meni pure vanto? Perciò, perciò è un impostore! e ne fa testo il suo fare elusivo, sfuggente. A proposito! La volete sentire l’ultima? Guardate, questa è proprio grossa, sarò pure un cafone, uno zotico ignorante, ma fesso no, è sicuro.
Dunque, ho saputo da uno dei pazienti - un poveraccio che dopo la seduta ha bisogno dei sali - che il nostro signor Dottore non accetta assegni, solo denaro frusciante. Capito l’amico? Niente assegni, nessuna prova di pagamento. Verrebbe voglia di avvertire la Finanza!
Invece sono un buono, uno che si affeziona, perfino a un tipo come lui. Poiché la storia dei soldi fa scalpore, tempo fa ho deciso di avvertirlo: “Guardi, Dottore, qui la voce si è sparsa. Lei rischia grosso!”.
Una maschera di collera e disprezzo, così gli è diventata la faccia. E sentite cosa ha risposto. “Fa parte della cura. Devono avvertire il peso del denaro che mi danno. Così solo potranno guarire!”
Mascalzone! Non si fa così con gli ammalati, questo è un insulto alla deontologia. Non solo li fai soffrire, non solo ne disdegni le attenzioni, ma li vuoi anche umiliare. L’uomo dei lupi, per esempio - lo chiamo così perché i suoi ululati mi hanno troppo colpito - il gran signore, dicevo, da quando ha iniziato la cura è preda dei sensi di colpa.
“Pensi”, si è sfogato, “volevo pagargli l’onorario con biglietti da cento”.
“E allora?”.
Ha abbassato lo sguardo, come un cane bastonato. “Non li ha voluti, pretende i tagli da dieci”.
Sono schizzato dalla sedia. “Da denuncia! Ma perché non cambia dottore?”. Nella furia è anche volato il piattino.
Ha di nuovo chinato il viso, come un bimbo colto sul fatto, e l’ha scosso disperato. “Non ce la faccio. Nessuno mi cava le cose di bocca come lui”, ed è corso a sfogarsi in gabinetto.
‘Non ci sarebbero furbi senza i fessi’, dice il proverbio. E il signore dei lupi ne è la riprova. Come sperare che non abbocchi, quale soprassalto di intelligenza vi aspettate da un cacasotto, da uno che non ha il coraggio di cambiare dentista? Se questo è il coro, se tale è la platea, figuriamoci il direttore di orchestra!
Nonò, mi sono detto, vista la situazione è giusto intervenire. Sta a vedere che sono io l’unico fesso! L’idea mi è venuta da certe confidenze della signorina Dora. “Me lo sogno perfino di notte”, mi ha rivelato un giorno. Era disfatta, più spiritata che mai. ‘A questo punto?’, ho pensato, ‘a questo punto siamo arrivati? Ma vattene a ballare, goditi la vita, invece di pensare al dentista!’
C’è stato un lungo silenzio, durante il quale ho finto di riflettere. Lei nel frattempo mi supplicava con gli occhi, cercava aiuto, un conforto morale. Lo so, perché succede a tutti i clienti del Dottore.
“E se l’aiutassi?”, alla fine le ho detto.
Non credevo alle mie parole.
“Davvero, davvero mio salvatore?”.
“Susù! Adesso non esageriamo, si calmi”.
La miccia era partita. “Tutto, sono disposta a tutto!”, ha urlato, pigliandomi per il bavero del camice.
“Tutto tutto?”.
“Tutto tutto tutto!”. Anche lei, anche lei come l’uomo dei lupi: una bimba che scongiura la mamma. Uguale.
“Beh, se proprio insiste, se davvero ci tiene a non soffr…”.
“Più della mia vita!”.
“Ci potrei …ci potrei, come dire?, parlare io. Sa com’è, lo conosco molto bene!”.
Non ci crederete, mi ha stretto le guance tra le mani:
“Pasquale! Pasquale mio, lei è un angelo!”.
“Adesso mi mette a disagio”, l’ho carezzata anche io, “ha con sé il regalo per il Dottore?”.
"Certo!”.
“E….me lo farebbe vedere un momentino?”.
Ha aperto la borsa, vi ha rovistato e ha pescato un astuccio. Diodiodio! questi ricconi hanno perso la testa. Dentro la scatolina c’era un fermacravatte tempestato di rubini, roba che neppure con mille mance potrei permettermi. Avrà speso un patrimonio, ‘sta cretina, e tutto per un po’ di anestesia.
“Dia qua!”, le ho fatto.
“Pasqualino!”.
“Pasqualino un corno! Dia qua, che glielo consegno io!”.
“Ma se non accetta niente!?”.
Qui sono stato bravo, devo ammetterlo. Ho esibito un sorriso tutto malizia e indicando lo studio del Dottore ho ammiccato: “Chi, quello? Come si vede che non lo conosce”.
Dopo essermi guardato intorno l’ho attirata per la mano e sussurrato: “E’ tutta una scena! fa così per salvare le apparenze. Sono io il collettore delle raccomandazioni”.
La signorina Dora è una brava ragazza, secondo me crede all’asino che vola. Si è rabbuiata:
“Perciò me li tira sempre appresso!”.
Era il momento per colpire. Le ho sfilato l’astuccio e detto: “Da oggi in poi vedrà, vedrà che cambiamento. Finito tutto, scomparsa ogni pena! Garantito”.
“Ci conto?”.
“Come sul Vangelo”, e l’ho infilato in tasca.
L’ho già detto, io non ho istruzione, mi sono fermato alla terza elementare. Però dalla vita ho imparato tante cose, specie da quando sono a servizio dal Dottore. L’ultima è che quelli con problemi ai denti sono tutti fessi, hanno una straordinaria capacità di suggestionarsi. Sapete che mi ha detto la ragazza dopo la seduta successiva?
“Pasquale! le devo tutto. Oggi il Professore era un altro. Pensi, credo mi abbia perfino sorriso”.
"E, mi dica un po’… il dolore?”, ho domandato. A dire il vero ero in ansia, pronto a restituire il malloppo. Non immaginavo, ve lo giuro, non credevo che la credulità arrivasse a tanto.
“Il dolore? quale dolore! Oggi è il più bel giorno della mia vita. E tutto per merito suo, Pasquale”
Incredulo, esterrefatto. “Scusate signorina, ma siete proprio certa, sicura sicura? Voglio dire che lui…”.
“Beh”, si è stretta nelle spalle, “lui, a dire il vero, era più o meno quello di sempre. Ma ero io, capisce?, ero io che lo sentivo diverso. Un fatto intimo, tutto mio. E adesso sono certa, sicura al cento per cento che ha gradito”.
“E…che prove ha di questo suo, diciamo gradimento?”.Volevo capire, convincermi in prospettiva futura.
“Cosa c’entrano le prove!?”, si è inviperita, “Sono io che lo sento, gliel’ho detto. Ed è quanto basta!”.
Ti basta? Davvero ti senti diversa? E allora fregati, l’hai voluta tu e te la tieni, io a questo punto non c’entro.
Da allora, appena arriva, mi infila qualcosa nella tasca. “Shh!”, fa prima di chiudersi nello studio. Come a dire: zitto chi conosce il trucco. E il trucco, nella sua mente malata, funziona a meraviglia.
“Tutto diverso, una nuova esistenza”, mi ripete raggiante quando esce dal bagno.
Anche il signore dei lupi dice lo stesso. Ma con lui non sono andato per il sottile. “Le dia a me le banconote da cento”, gli ho intimato. Lui ne ha adagiate dieci nel piattino.
“Tutto a posto?”, chiedo anche a lui quando esce.
“Un paradiso. Ho l’impressione che abbia cambiato tono”.
Cosa c’entri il tono di voce col mestiere di dentista, questo è un altro mistero. Che devo dirvi: li prenderà a parolacce? ordinerà di star fermi quando gli tira la roba di bocca? O perché - stando a quanto mi ha confidato un altro paziente, avvilito dai suoi lunghi silenzi - adesso gli dice “sputi fuori”.con gentilezza?
Fattacci loro. Di cosa accada in quella stanza non me ne frega più niente. Grazie a questa intuizione ho cambiato vita. Ho comprato casa, vesto elegante e per strada mi fanno cento inchini. Da un po’ di tempo ho anche elaborato una teoria: se questi sono i risultati, se davvero soffrono di meno, allora ho trovato un rimedio per il mal di denti. A volte, quando ci penso, faccio i castelli in aria, mi vedo con toga e tocco mentre prendo la laurea alla carriera. E tutti intorno, seduti nell’emiciclo, vedo i pazienti che mi battono le mani. Certo, un problema c’è, e non di poco: il mio trattamento costa, e pure molto. Ma che colpa ne ho se quel Dottore è un cavatappi?

Carlo Capone

(Nella foto: David LaChapelle: Museum - 2007)


CURIOSITA’ E NOTE ESPLICATIVE
Volendo presentare i 4 protagonisti di questa storia, dico subito che l’infermiere è inventato, Freud è Freud, la signorina Dora e l’uomo dei lupi sono due pazienti la cui analisi fu descritta da Freud in celebri saggi, pubblicati nel 1907 e 1908, dal titolo Il caso Dora e L’uomo dei lupi. Nel primo vengono evidenziati i meccanismi che regolano l’isteria, nell’altro il ruolo del rimosso nella nevrosi ossessiva.
Dora, il cui vero nome fu Ida Bauer, era una ragazza diciottenne, depressa e “isterica” (l’isteria, per ragioni non chiare, è una patologia considerata scomparsa, ma per decenni è stata considerata di appannaggio esclusivo delle donne, il che è falso).

Dora/Ida venne sospinta sul lettino di Freud dai genitori, mai per altro distintisi in slanci affettivi nei suoi confronti. L’analisi durò pochi mesi e pià che una cura vera e propria va intesa come impostazione d un suo frammento terapeutico. Eppure, malgrado il suo breve corso, Freud venne a capo di una complessa vicenda interiore, all’origine origine dei disturbi di Dora. La causa di malattia erano stati i rapporti con amici di famiglia dei genitori, i coniugi K., verso i quali la ragazza nutriva più di un motivo di rancore. Intanto perché il signor K. le aveva fatto avances amorose quando aveva tredici e sedici anni e poi perché lei stessa sospettava a ragione che suo padre se la intendesse con la sig.ra K. (bel quadretto borghese della Vienna inizio 900).
Dunque, Freud appurò non soltanto che Ida era innamorata del sig. K., ma voleva anche congiungersi con il padre, venendo in tal modo in conflitto con la signora K., a sua volta intesa come rivale fallica La sua isteria era dunque un doloroso espediente dell’inconscio per attirare l’attenzione del padre e del signor K. e nel contempo mariginalizzare la signora K.
E’ per questo che Freud verificò su Dora una strategia terapeutica volta al distacco a volte sprezzante dell’analista verso il paziente. Intendeva così curare le radici della sua isteria facendole rivivere la mancanza di affetti patita da bambina.
Pare che il caso fu risolto, ma gli esperti propendono per una guarigione grossolana, visti i tempi brevi di terapia.

L’uomo dei lupi si chiamava Sergius Pankejeff, era affetto da una nevrosi ossessiva che l’obbligava a estenuanti rituali e a sensi di colpa che lo spinsero al suicidio mancato.
L’intera faccenda e’ imperniata su un sogno che il paziente aveva fatto da bambino: c’erano dei lupi bianchi in cima a un albero di fronte alla finestra della sua stanza da letto e si era svegliato in preda al panico. Sembra a sua volta che all’insorgere di questo terrore contribuisse il tormento per gli scherni dalla sorella più grande, una giovane donna apprezzata in famiglia per l’acuta intelligenza e la riuscita negli studi. Ciò che a Sergius non era riuscito
La ragazza aveva dunque esercitato un ruolo evirante, e il contenuto del sogno ne sarebbe stato la rappresentazione, visto che Sergius aveva iniziato a nutrire quella fobia da quando, durante la comune lettura un libro illustrato, si era atterrito per il ghigno di un lupo. Da quell’episodio la sorella non avrebbe smesso di tormentarlo, spaventandolo con allarmi di arrivo di lupi o umiliando per questa debolezza. Il sogno giunse anche dimostrare che il color bianco delle bestie simboleggiava la biancheria intima dei genitori, sorpresi dal bambino mentre facevano sesso. Non solo, quel sogno dei lupi era anche e soprattutto la spia del timore che Sergius nutriva per la sorella ritenuta castratrice.
Freud lo curò per quattro anni, adoperando anche in questo caso una strategia fallica, volta cioè a far rivivere nella mente dell’uomo il trauma del sesso genitoriale e in un secondo momento a rieducarlo alla competizione affettiva. Sergius fu congedato perché del tutto guarito.
Lui stesso in seguito riferì dei tormenti patiti durante la terapia, indirettamente dando ragione all’illustre terapeuta, mai però dichiarandosi risanato. I detrattori di Freud asserirono che passò la vita cambiando analista, senza ottenere risultati.

In sintesi: la prima idea era descrivere i due celebri casi, lasciando Freud sullo scorcio, poi è spuntato l’infermiere Pasquale e si è imposto. Nulla a dire.



Pubblicato su georgiamada
http://georgiamada.splinder.com/post/22417720

Pubblicato su Parliamone- 28 marzo 2010
Permalink




TAGS:   
racconti   Freud