RACCONTI: Picci


RACCONTI: Picci

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Cinque anni, quanto tempo è passato che non ci vediamo. Lo sento, questo sì, una volta a settimana. Si parla, si scherza, divaghiamo. Poi al 20 del mese, va a capire perché proprio quel giorno: se la cosa avvenisse il ventuno o il sette non cambierebbe nulla, vado alla posta e gli mando i soldi. Cinque anni, finalmente, dopo tutto questo tempo giovedì sarò a Napoli, e ad attendermi all’aeroporto ci sarà il mio amico Picci. Lo conosco da trent’anni, siamo come fratelli, e soltanto oggi mi va di raccontare la sua storia.
Per molti anni Picci ( dal napoletano piccerì di quand’era bambino, poi mutato in Picci) fu un’istituzione del quartiere, dove visse in uno stabile patrizio alla Riviera di Chiaia. Senza mai lavorare.
Non è colpa sua, se trovava un lavoro vomitava due giorni e due notti, come a scuola, del resto: dovettero ritirarlo dopo aver ripetuto tre volte la seconda superiore. E' stato sempre molto religioso, Picci: allora come ora non inizia la giornata se non prega al crocefisso di almeno tre chiese. Ma è anche sensibile al fascino femminile. Me lo ricordo ancora, nel fatidico '68, quando girava per l’elegante via dei Mille con il borsalino e il cane al guinzaglio, un figurone. Di donne ne ha avute tante ma non le ha mai toccate: “prima del matrimonio non si fa ", dice sempre Picci. Una di queste ragazze, un'insegnante di inglese timorata quanto lui, gli volle più bene delle altre. Partecipavano ai ritiri spirituali della parrocchia, leggevano insieme il vangelo e la domenica andavano allo stadio a tifare per il Napoli. Ma la ragazza era anche stufa di aspettare, Picci al suo solito cambiava lavoro ogni mese. Adesso non dava più di stomaco ma o litigava coi colleghi o inventava scuse a suo modo sensate. Gli è che non ce la faceva, le relazioni formali l’hanno sempre spaventato. E così nel fabbrichino di cellophane per pacchi- regalo mancava l’aria, le pentole non le vendo perché mi conoscono e faccio brutta figura, l’immobiliare ruba i clienti che ho procurato e non mi paga, eccetera eccetera. La suocera, una brava vedova che aveva tre figlie da sposare, era molto preoccupata, smosse mari e selve per trovargli un lavoro che non gli procurasse l’esaurimento nervoso. Spuntò un posto bellissimo, tranquillo e senza numeri in giro (Picci per la matematica nutre un odio viscerale), un lavoro per cui a Napoli venderebbero la mamma. Ma Picci alla mamma ci teneva assai. Insomma si trattava di fare l’esattore ai caselli della Tangenziale. Picci rifiutò per via dell'inquinamento. Basta, lei fu stufa, di aspettare e di inseguire i di lui progetti. Bisogna a questo punto riferire che Picci è patito per l’America. Tanto per dire, la sua camera di ragazzo era tappezzata di bandiere a stelle e strisce, il giorno in cui morì Elvis Presley si mise a lutto e non aprì bocca per una settimana, oppure se in città arrivavano i Globe Trotters stazionava ore all’uscita aspettando l’autografo. Ma la sua America non era quella comune, bella sì ma anche dura e spietata, per lui l’America era la fiera proiezione dei film di John Wayne. E perciò un bel giorno si mise a pretendere che la ragazza lasciasse la scuola per andare in America tutti insieme - lui, la ragazza, sua mamma e il gatto - a cercare lavoro non si sa bene dove.
Un discorso particolare a questo punto merita la mamma di Picci. L'ha sempre sostenuto, santa donna, specie quando Picci faceva le gare per giovani canori (aveva la stessa voce del cantante Michele, quello di ‘se mi vuoi lasciaaa-re, badibidambù’) ma quando ci fu la svolta della vita fu lei a scassare tutto. Picci aveva superato un provino alla RCA, i cui dirigenti proposero di metterlo in scuderia a Milano. Anche per questa opportunità oggi si venderebbero padre, madre, nonni e gatto. Ma la signora disse: ‘per carità, è lontano, se fosse stata Roma…’. Al contrario del padre, che invece caldeggiò: “così Picci si sveglia un pochino”. Ma non contava niente il padre di Picci
Era un direttore di Banca, che spesso si consolava negli alberghetti. Una sera di estate, a Sorrento, dovetti far finta di non vedere, non perché fossi anch'io nell'alberghetto ma per averlo sorpreso per strada in gentile compagnia. Bella signora, nulla a dire.
Era un gentiluomo, il padre di Picci, nonché nostalgico di Mussolini. La Banca gli aveva affidato la filiale di Mogadiscio, lui ne approfittava per fare propaganda del regime. Col pretesto che l’Italia voleva opprimere la Somalia, perché il padre di Picci faceva propaganda fascista, Siad Barre, all’epoca del colpo di stato, nazionalizzò i soldi della banca. I cui capi se la presero a morte: incolparono il padre di Picci e lo misero al minimo di pensione.
Ritornando alla storia degli alberghetti, la mattina seguente ci incontrammo in spiaggia, mi scongiurò di tacere col figlio: " Picci è assai legato alla mamma, avrebbe un trauma. Io poi che faccio di male? mi tengo in forma, questo è tutto". Di lì a qualche giorno gli venne una terribile ‘mossa’ e finì al Rizzoli di Casamicciola. Dove non ci fu scampo, mai capito se a causa dell'ospedale – in cui a stento c'erano dei letti, un due pappagalli e alcuni cessi - o per via della mossa.
Picci e la mamma dovettero cambiare casa, andarono a vivere in periferia. Tiravano con la pensione del direttore e fantasticavano di fortune lontano da Napoli. Un giorno Picci lesse su Grazia che una signora di Modena vendeva la licenza della sua agenzia matrimoniale. Figurarsi, il lavoro per Picci, fervente matrimonialista sebbene mal riuscito. Si trasferirono a Modena, spendendo un patrimonio per l'affitto di casa e dello studio. Purtroppo in sei mesi arrangiò due contratti. Ma intanto c’erano da saldare pigioni, tasse e bollette, finì che chiuse l’agenzia: il penultimo fiasco prima della rovina, l’ultimo essendo uno zio. Occorre sapere che Picci era, ed è, di famiglia in vista. Tra i vari parenti c’era questo zio avvocato che venne a Modena e disse più o meno : “tu hai una bella voce, io le conoscenze, che dici se mettiamo un piano bar in Riviera?” figurarsi, era il sogno di una vita. Per non dire di Rimini, la città di Sapore di sale e Abbronzatissima ( quando Picci sente Piero Focaccia, Nico Fidenco e le canzoni dei primi 60 va in visibilio, a parte Elvis). Dunque, per fare quel lavoro l’avvocato gli chiede 40 milioni e Picci glieli versa. Passa un mese, due, poi sei, lo zio dice sempre che è in cerca di un locale adatto o risponde che è a Milano per affari. Un altro avvocato, questo sì vero amico, disse a Picci che il collega si fa sempre trovare dall’ufficiale giudiziario a letto con l’infarto. Sempre stato un candido coi soldi, il mio amico Picci. I quali soldi nel frattempo erano finiti Con l'aiuto dei parenti tornarono a Napoli andando in affitto a Piazzale Tecchio. Picci era entusiasta, finalmente poteva vedere da casa lo stadio del cuore. Mai visto uno più tifoso del Napoli. Dipendesse da lui terrebbe ancora Maradona. Fino a qualche anno fa non ha mai mancato all'appuntamento domenicale con la squadra, anche nell'anniversario del padre. "Ho recitato le preghiere durante la partita - mi confidò - papà avrà capito".
Tre anni fa la signora è passata a miglior vita e Picci ha perso la casa: sul conto c'erano solo sette euro. Il funerale lo pagammo io e un altro amico, Bruno. Una bella cerimonia, mi disse Bruno al telefono, guastata da una decina di oranghi col berretto comunale che fuori alla chiesa pretesero 30 euro a testa. Meno male che Picci non l'ha mai saputo, si sarebbe addolorato.
Da allora è cominciata l'odissea. Ha vissuto col sussidio di noi amici e dei parenti, prima girando l’Italia col gatto in cerca di lavoro, poi convincendosi che Napoli era la soluzione migliore. Il massimo dell’ansia lo ebbi, io che sono l'unico della cerchia a vivere lontano, quando mi strillò al cellulare che aveva litigato con la famiglia e avrebbe dormito in auto, lui e il gatto.
Ora le cose vanno meglio, gli abbiamo trovato una casuccia a Capodimonte mettendo 50 euro al mese ciascuno. Picci devo dire che è cambiato molto, bene o male i suoi lavorucci li trova e guadagna qualcosa. Per quanto mi riguarda l’ho nominato mio plenipotenziario in quel di Napoli. Che so, c’è da andare al Comune per un certificato? O al catasto per allungare una mazzetta? Beh, incarico lui, il pretesto per dargli dei soldi. E insomma adesso sono tranquillo, lo so al sicuro e in grado di procurarsi da mangiare. Lui poi ha una caterva di amici, che fanno a gara a chi lo ospita. A Capodimonte ha trovato una buona parrocchia, quando è in ristrettezze - noi amici e parenti abbiamo il vizio di non saperci coordinare: e così Picci un mese scialacqua e un altro fa la fame - il parroco gli dona pasta, tonno e passata di pomodoro. Tempo fa è morto il gatto e per Picci è stato un colpo: quella micia era tutto per lui, hanno condiviso le ansie di questi ultimi anni. Per fortuna ha sùbito trovato sostituzione, una bella cagnolina che gli fa un sacco di moine. Al principio lei era sulle sue, adesso, quando Picci la lascia in auto per sbrigare la faccenda di un minuto, gli fa con gli occhi: “ sicuro che torni? o mi lasci per sempre?.
La macchina di Picci! A momenti me ne scordavo. È una Ford Sierra targata Ascoli e ha più di vent’anni. Pago 110 euro all’anno per l’ assicurazione come vettura di epoca. Speriamo che al nostro arrivo non piova. L’ultima volta il tettuccio faceva un po’ acqua. Ma è cosa di niente, disse Picci, e poi vuoi mettere? Dove trovi una macchina col lucernario?
Buongiorno Napoli, è sempre un piacere.



Pubblicato su Parliamone - 8 aprile 2009
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