EDITORIALE : TROPICO DI ISCHIA


EDITORIALE : TROPICO DI ISCHIA

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L'hanno distrutta quell'isola. Nei 50 era un’oasi tropicale in mezzo al mare. L'acqua di Punta Molino lambiva i pini e a San Montano c'eri tu, il mare e il Padreterno. Angelo Rizzoli veniva a Lacco con industriali, principi e puttane, ma l'ospedale - l'unico di Ischia: oggi ci entri e non sai se esci - l'ha costruito lui. Aveva dei progetti, il Rizzoli, se i napoletani e Gava non li avessero crepati. Ma a proposito di vivere e crepare, a Porto c'è un pronto soccorso ostetrico. Mi sono ignote le tecniche praticate. Io ci andai per un tappo all'orecchio, non sapevano cosa fosse un padiglione...

Quando la prima volta misi piede a Ischia ebbi l'emicrania, vuoi per la vampa che ti piglia appena sbarchi, forse per l'aria radioattiva, e magari per l'atmosfera di eccitazione. C'era una triremi romana, giù al porto: stanno girando Cleopatra, ammiccò un tizio.
La chiamano l'isola delle donne, e a ragione. Perchè le donne di Ischia, dico le ‘forastiere’, sono diverse. Arrivano slavate, le carni stanche sotto i parei leggeri, ma quando l'aria e il sole infondono malia - vero elemento bacchico in luogo di ogni vino - si fanno radioattive, due lampi audaci come occhi, i corpi inseminati dal vulcano.
La sera, erano i primi sessanta, andavamo a spiare dal muretto del Rancio Fellone, un dancing sotto i pini dove cantavano Di Capri e Baby Gate. La Baby Gate mi eccitava, invece di cantare si sbatteva e urlava. Era sgraziata, irridente, sembrava dicesse a noi ragazzi 'fai schifo, non ce l'hai'. E perciò facevamo notte ad aspettare, ma più di Peppino di Capri non usciva. Va a capire la signora Mina, all'epoca Baby Gate, chi se la pigliava.
Vennero i settanta, gli ischitani affittavano pure l’aria. Ogni buco, stanza o letto andava bene. Avevo una ragazza a via Mazzella, e la paura di perderla e i pochi soldi in tasca mi cacciarono a un albergaccio dove dormivo con altri sei. La notte l'interruttore si inceppava, ansimavi al buio tra un intrico di nudi - a Ischia l'estate non si respira, perciò ti affittano anche l’aria - fino a gettarti sfatto. Caldo, afa, puzza di piedi e crema solare. La mattina ti lavavi a mare, stabilimento Medusa, a imbucarmi ci pensava la ragazza.
Venne qualche soldo e scoprii Cleopatra, una scaltra matrona con un porro in faccia. Teneva pensione a Via Variopinto, posto tranquillo. Cleopatra appena entravi ti squadrava: ‘credo di no, ripassa'. Allora mostravi i soldi - meglio: nominavi la persona che ti mandava - e finalmente ecco il posto. Te lo dava al piano terra, nel cortile dove si serviva colazione e sul quale davano le cucine. La mattina sveglia all’alba, tra fracasso di cristiani e stoviglie. Ma il problema era la notte. Si entrava in camera da una porta finestra sul cortile. E se ci andavi per fare all'amore, essendo Cleopatra cattolica osservante dovevi sgusciare. Un bagno turco: insieme alle persiane andavano serrate le ante del balcone: se la vecchia sentiva ti cacciava.
Afa, corpi bagnati e in eccitazione. Per foga radioattiva e timor di Cleopatra.
Si mangiava male a Ischia Porto. Alle pizzerie, dove per sederti ci voleva il benestare di Gava, davano una pizza senza gusto. Vicino alla piazzetta ce n’era uno famoso, sfornava calzoni fritti con ricotta. Un’impresa però sedersi. E se anche: mangia, fai presto e fuori dalle palle. Quante notti a Ischia al gabinetto. Se potevi pagare avevi ovviamente il ben di cristo: a Porto, nei locali sulla riva destra, a Campagnano, Forio, Sant'Angelo, Casamicciola, Barano (dove si favoleggiava del coniglio alla cacciatora), i locali costosi si sprecavano. L'unico a fare un ripieno come si deve, a poco prezzo, era Leopoldo a Panza, sopra Forio. Ma come andarci? ci voleva la macchina, e senza raccomandazione o mazzette non la portavi, a Ischia. Meglio, ne sbarcavi tre se tenevi villa, eri un primario di lussuose cliniche napoletane, o un notaio, un commerciante o un avvocato - che difendesse Pandico e o' Animatone: niente Enzo Tortora, per amor di dio. Una sera tardi andai con un amico in quella pasticceria - bar - rosticceria di Porto, una costruzione moresca tra piante, pini e macchie. Ci mancava solo Eva, ma quella volta incontrai Caino. L'amico ordina un panino con hamburger, io supplì e frittatina. Si soffoca, l'aria trasuda acqua. Ci sediamo. La birra!, impreca il mio amico, me la sono scordata. Si alza e nell'andare addenta. Non ho mai visto in vita mia un cristiano sputare di disgusto, con una rabbia e insieme la paura di ingoiare come allora. Quel getto di materia m'è rimasto impresso. L'amico torna indietro e dice: è rancido, credo ci stanno i vermi.
Basta, a Ischia non ci torno. Ma l'isola, l'isola radioattiva delle donne, dell'amore infuso nell'aria di agosto, ce l'ho nel sangue. Passano gli anni, siamo a metà ottanta, e convinco mia moglie: "Ti porto a san Montano, la baia dove la rena è fine e l'acqua di cristallo".A lei Ischia non piace, sempre andata a Ravello.
Quel giorno a San Montano il sole è bravo e l'acqua ti carezza. Poca gente, direi settentrionali, e qualche brutta faccia, ma che m’importa. Adesso vedi. Di tali facce l'ombrellone vicino ospita una collezione. Sono i nuovi padroni, vengono da Forcella e affittano a 10 milioni al mese. E gli ischitani? chi se ne fotte, io non guardo e intasco. A pomeriggio, quando il sole è sceso e la brezza increspa l’acqua, l'ombrellone vicino si anima, richiama una genìa di oranghi, discesi dalle piante . Osservo, mia moglie sbuffa e mi dà di gomito. Le donne dalle carni rosse e straripanti portano catene in oro, gesticolano per dare mostra di bracciali e anelli. Gli uomini - due o tre, il grosso è a Napoli per lavoro - appaiono dimessi, hanno tutta l'aria di vigilantes. Spiccano al loro polso Rolex massicci. A un tratto la vaiassa capogruppo brandisce una bottiglia di Moet & Chandon, la stappa e tra urla in lingua beluina ne orienta lo spruzzo. Quando il liquido spumeggia se ne bagna le dita e umetta guance, collo e seni. ‘A chi ce vo’ male, tiè, tiè!’, e fa le corna. Poi passa la bottiglia alle altre che ripetono l'operazione votiva. Intorno il vuoto, scappati tutti. Mia moglie dice 'andiamo'. Soltanto questo.
Da quando ho preso la cittadinanza padana sono tornato a Ischia una sola volta, primi duemila. Siamo stati ai giardini di Poseidon, dove l'acqua fuma nei canali. Ho nuotato nelle piscine in fiore del Castiglione. Ho guardato Carta Romana da Campagnano durante la processione a mare di Sant'Anna. Sono tornato alla pineta di Fiaiano. Ho bevuto alle fontanelle di Serrara, dove una amica si bagnava per farsi fertile. Ho ascoltato, disteso sull'arenile di Sant'Angelo, la musica di un pianista nella sera, e ho pure mangiato, senza sentirmi male. E ho passato i Pilastri, percorso la stradina che porta alla terrazza sui Maronti. Il giorno dopo, prima di partire, al tramonto ho guidato libero perché straniero, e ho atteso San Michele fiammeggiare.
E' cambiato tutto, così mi è parso. L'impressione è che sia finita una guerra. La mia.

Carlo Capone




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