SPAZIO SCRITTURA : L'UOMO CHE SALIVA SUI TRENI [5] - di Carlo Capone


SPAZIO SCRITTURA : L'UOMO CHE SALIVA SUI TRENI [5] - di Carlo Capone

Pubblicato da: Admin  /  Letture: 1629  
L'UOMO CHE SALIVA SUI TRENI
di Carlo Capone


- ultima parte -


Se'ncontro signò Manzoni gli faccio il mazzo a paniere! So' buono e caro, io, ma quando è troppo basta. Qui si è passato il limite, questo è canasciuto come un romanzo per bene, ma lo dovesse sapere la gente cos'è. Sadoma e Gamorra! ecco il capolavoro della cultura taliana! inzomma vi pensate a una storia casa e chiesa? a un romanzo della provvidenza dove vince il più buono? se se, questi sono una maniata di pervertiti, e perciò vuoto il sacco, così si impara l'illustrissimo dottor Manzoni! la vendetta, tanto si merita dopo quanto che è successo.
Dunquo, dovete sapere che la signora Cecilia - la conoscete, no? come, la famosa monaca di Monza - ebbene sta signora telefona ogni sera al sottoscritto, un povero scartellato ridotto a vestirsi da suora di Abbiategrasso. Dicevo, la gran dama chiama e fa:
"Gennarì, che fai di bello?"
"Niente, signò, guardavo la tivvù".
"Uuuh, povero quel figlio, solo soletto?"
"Embè, madame, che vi debbo dire, questo passa il convento ".
Se la cosa si fermasse qua, niente a dire, la pigliassi per una gentilezza: in fondo parliamo di un'esponente del jet set letterario, embè, scusate. Foss o' cielo! sentite invece la conversaziona.
"Senti, Gennarì - riattacca - io c'avrei un'idea".
"Dite, signò, qua stanno i guaglioni vostri".
Non ho capito, parlate più forte, con questa fascia sulle recchie si ammoscia l'udito. Aaah, che il burdello me lo cerco? in parte è vero, ma che fareste al posto mio, ja, voglio sapere? le diciarreste 'madame, ma ve ne iate a fa' int o' culill'? e certo che non lo direste: doppo tanti sacrifici, paccheri, sputi in occhio e altro che è meglio tacere, ci andreste a dire 'signò, ma a chi vulite sfottere a chest'ora?'. Lo vedete che ho ragione?
E allora, dove eravamo rimasti, ah sì, all'idea.
"Caro Gennaro - prosegue donna Cecilia - tu stai ad Abbiategrasso, io confinata al monastero di Monza, perchè non ci vediamo? ci facciamo un the coi biscotti, quattro chiacchiere insieme e si fa ora di andare a letto..."
E me lo dite alle otto di sera?, ci vorrei tanto dire, proprio mo'che avevo gettato la pasta e schiattato due pummarole nella tiana? macchè, il miraggio di guadampio e carriera mi va sempre in culo. Gennarì, mi penso a me, che ti costa farci il piacere? chi, io? per carità, in linea di principio niente: da qui a Monza con la tangenziale non ci vuole assai. Il pobblema è un altro, e ve lo spiego.
Arrivo al monastero alle dieci e subito si mette male.
"Chi bussa a 'sto convento?", mi fa la matre superiora.
"So' la monaca di Abbiategrasso, signò, aprite", dico io, ammagari sotto la pioggia o la neva.
"Ma vafammocca - se ne esce la badessa - con questa vocia mi vuoi fa credere che sei una suora?"
E inzomma, stiamo almeno un quarto d'ora a fa' la jacuella. Io che apparo la vocia di femmina e lei che risponde ' vattenne a' casa,ricchi!'.
E questa è una.
Fortuna che vuole iddio sento dei passi, poi un appiccico femminile a base di 'zoccola!' e 'vafanculo, bizoca!'. Finalmente si apre il portone, e chi ti vedo? la signora Cecilia in perzona. "Entra Gennà, stai senza pensiero", mi tira un braccio, e con una pacca in culo mi votta alle scale.
Bell'appartamento c'ha donna Cecilia. Tre camerette con cucina monoblocco e cesso alla turca. E non vi ho detto del salotto! come spiecare, inzomma divani in broccato, tavoli con sicarette e cioccolatini e stampe liberty al muro con donnine annude. Una scicchezza! Da ' addio tabarin', a dirla breve.
E così ci assettiamo e iniziamo a chiacchierare, la signora mi offre biscottine e Mabbò e fino a questo niente di male. Il guaio viene all'intrasatto, quando lei se ne esce: "Neh, Gennarì, ma tu non senti freddo?". E che ci volete rispondere, specie se è agosto? signò, ma voi tenete la freva?
La tiene, la tiene la freva, ce l'ha in mezzo alle cosce! E ieri sera è successo il fatto. Mi aveva preso le mani dicendo " e scaldami un pochino, evvai", poi se l'era strusciate sul petto, poi s'era levata la tonaca, poi era uscita tutta annuda, e poi mi aveva azzeccato un pacchero iastemmando 'gennà, ma tu si' scem o ricchione?'.
E io allora m'ero levato la vesta, e poi mi stavo togliendo calze e scarpette, inzomma era successo tutto questo quando - cosa mai successa - si è sentito un colpo alla porta. "Uh, marò, Egisto!", è avvampata. Egisto? - ho detto anch'io, mentre i colpi si ripetevano fuoribbondi - e chi è stu diec e' scem?"
"Alfabeto!", si è inzolfata, facendo un zompo al divano per fottersi i miei pedalini, " non sai che è mio marito?"
Uno strummolo, così ci ho rimasto. Ma come, la monaca di Monza maritata? "Strunz!", mi ha sputato in occhio, mentre infilava la sottana , "lo sanno tutti che siamo marito e moglie. E mo' che faccio?".
E mo' che faccio io!, ci avesse voluto dire. Quello dava a capate alla porta e da un momento all'altro la sfonnava. Io non sapevo che fare, ero... inzomma mi sentivo, come spiegare?, ecco ero come sfessiato! E si capisce, sarà stata la strizza, la carna annura, i quadretti piccanti, cert'è che avevo pure... inzomma ero ...uffààà, e c'ho veggogna c'ho! - sang e chella marina, questa dimitezza mi frocolea!- vabbuò, adesso lo dico: per la paura ero venuto sul parquet!....la mia salvezza. Quel cornuto fetente, infatto, a un bel momento la porta l'ha sfonnata, e quando m'ha visto col fringuello da fuori ha realizzato. "Io ti sbudello, cane!", e si è avventato senza addonarsi della sfacimma per terra. C'è salito e ha pigliato nu maronn e' sciuliamazz, tanto che ha fatto due capriole e ha sbattuto la capa. Stump! mi aveta credere, una palla di cannone avrebbe fatto meno guai. Ha sbattuto così forte da restarci, una salvazione!
Donna Cecilia mi ha fatto cenno come a dire ' pigliat e' pezze e vavattenne!' e io, modestamente, ho colto al volo. Ho fatto Monza- Abbiategrasso in mezz'ora su una fetente di Uno, che non c'ha manco il condizionatore. E corri co'. Mezz'ora fa, erano le sette e dormivo, ha squillato il cellulare.
"Pronto chi parla?"
"Sono io"
"Io chi, scuso?"
"Lo sai bene, animale!"
"Uh, Giesù, questa voce la canosco. Per caso siete dottò Man..."
"Zitto, fetente, non nominarmi invano, pe causa tua c'ho il telefono sotto controllo! stammi a sentire e basta!"
"Comandi, sono tutto orecchie"
"Questo è sicuro, essendo ca tu la capa la tiene pe' tenè spartute le recchie! Dunque, Ficuò, tu sei la rovina mia, da quando sei dei nostri le sto passando una a una. Tralascio lo scandalo Don Rodrigo culattone, che pur misi a tacere, ma anche la mia Cecilia adorata dovevi inguaiare? Signore buono! avevo tenuto la cosa tra detto e non detto, ero stato citato dai critici per l'accortezza, la levità con cui affrontai il tema di Cecilia -storia scabrosa assai, Gennà! dai risvolti inquietanti e bestiali- embè, oggi apro il Corriere e che leggo? la monaca di Monza, sposata e con figli, sorpresa dal marito con certo Ficuozzo. In prima pagina, Gennà, e a caratteri cubitali! Enrichettaaa! dolce mio amore, i sali e l'aceto, per cortesia, io sdilinguisco"

E crepa, altro che svenire, tu all'inferno devi andare! per tutto il malo che ho passato per causa tua ! sapete che è successo? mezz'ora dopo di nuovo il cellulare.
"Il signor Ficuozzo?", chiede una voce femminile, di accento teutonico.
"Sono io"
"Ecrecio sig-nore", attacca.
"Scusate, ma chi siete?"
"Enriketta Blondel, fede107nte!, sposata Manzoni"
"La moglie diii...?"
"Anche secretaria, preko"
"Dite dite"
"Lei è licenziato, esimio ciovanotto. Passi alla cassa per likidazzione. Clic"

Stai fresco se ci vado, se mi piglio quei quattro pidocchi si fanno illusioni. Mo' faccio la valicia e me ne vaco. Gnorsì, domattina c'è il regionale alle sei per Varigotti. Stateve buò!


FINE



Carlo Capone © 2005




TAGS:   
racconti   
Di questa vita menzognera -


Di questa vita menzognera - "Giuseppe Montesano"

Pubblicato da: Admin  /  Letture: 1663  
Giuseppe Montesano - Di questa vita menzogneraFurore, nichilismo, visione febbricitante e oralità come premio a una fame ancestrale, sono tratti dell'animo napoletano. Io questi temi, e non solo, li vedo riassunti nell'opera di Giuseppe Montesano. Un autore che segue con grande passione e di cui a volte - è il caso del finale di 'Di questa vita menzognera', il suo capolavoro in assoluto - mi addolora riscontrare l'assenza di una fede107 in un qualsiasi divenire. C'è in lui, ma è un personalissimo giudizio, la disperazione di un sud racchiuso in se stesso, come un pugno pronto a colpire, e parimenti volto allo svelamento di una realtà da sempre matrigna. Non a caso il suo ultimo romanzo, Di questa vita menzognera, reca nel titolo (tra i più belli, secondo me, della letteratura italiana) i temi di cui dicevo e in più il germe di una sorda frustrazione. Napoli e il disincanto, del resto, sono i poli tra cui oscillano, rimbalzano, si infrangono i suoi de-scrittori. Un tormento, una sete genetica ravvisabile, già in alcuni titoli maggiori:
Giuseppe MontesanoFerito a morte, Il mare non bagna Napoli e appunto Di questa vita menzognera. Per me, napoletano di nascita, è facile riscontrarvi i segni di una lacerazione, della vanità di una caccia a un reale che gioca a nascondino.

E qui giungo a un vissuto personale.

In uno dei più bei capitoli di 'Nel corpo di Napoli' Montesano pone la chiesa del Gesù Nuovo come punto di partenza di un viaggio nel sottosuolo di Napoli. Perché sceglie quel posto? per quale sua ragione essenziale lo ritiene anticamera del vero assoluto ed esoterico, sedimento dell’intero rimosso dell’animus napoletano ? io da ragazzo, studiando dai gesuiti, in quella chiesa ci servivo Messa.
Giuseppe Montesano La domenica vestivo una tonaca candida a bande rosse verticali, a mo’ di senatore romano, e insieme ad altri chierichetti si usciva da una porta laterale per disporsi ai bordi della navata centrale, seguendo poi in processione il sacerdote all’altare. Per me, nell’ascolto di un personale sentire, il Gesù Nuovo è un luogo inviolabile, un santuario di ricordi coperto da un velo. E invece arriva Montesano, e ne fa l’accesso a un budello infernale, ingiuriandone, nella mia fantasia, i preziosi marmi del pavimento ad opera di una ghenga disperata e picaresca. Ma non è tutto, il suo genio non conosce soste: su quei marmi io sento scivolare il traino della signora Fulcaniello in carriola, cui il marito, per tacitarne l’insaziabile fame nel corso del viaggio, ha predisposto un biberon di brodo e polpettine. Tutto questo nel mio Gesù Nuovo, e perciò: qual è la vera Napoli, la mia degli affetti o quella di Montesano? La città che sbiadisce via via nella mente o quella offertami dal lui (precisando che entrambe hanno pari diritti)? E che differenza c’è, restando in ambito ricordi, tra la casa dove credo abbia sceneggiato il pranzo del Tolomeo – un’abitazione sfarzosa, sguaiata e solare - e il tetro villino liberty di Via Tasso, che da giovani amanti si evitava la sera perché sede, secondo dicerie, di fantasmi in pena? Quale delle due, voglio dire in sostanza, è più vera, o meglio, meno falsa, in questa vita che non posso non dichiarare menzognera?


Carlo Capone


TAGS:   
SPAZIO SCRITTURA : L'UOMO CHE SALIVA SUI TRENI [4] - di Carlo Capone


SPAZIO SCRITTURA : L'UOMO CHE SALIVA SUI TRENI [4] - di Carlo Capone

Pubblicato da: Admin  /  Letture: 1010  
L'UOMO CHE SALIVA SUI TRENI
di Carlo Capone


- Parte terza -


Quando sei in un giro devi subire, specie se ti sei fatto il mazzo per entrarci. Ora io non dico mi sia andata male, un posto da dottò Rodrigo è un signor lavoro, e le soddisfazioni me le piglio: caciottella a Pasqua, struffoli e salame a Natale, mance per lavoretti, cambiata di biancheria due volte a settimana. Lo so è poco, un fior di personaggio guadampia altro, ma che vi debbo dire, prendere o lasciare: don Rodriguèz esige! e semmai sgarri si infuria e riferisce a Signò Manzoni. Ora io già sto appeso a un filo, inzomma sono in prova, metteteci che il Sommo mi vede male per via di quel rimorso, figuratevi se il padrone gli va a dire 'Alessà, levami di torno sto Ficuozzo, è un piantagrane'. Va bene così, anzi benissimo, ogni suo desiderio è ordine. Faccio l'esempio.

"Gennarì", se ne esce alle volte, " vammi a comprare le sicarette".
"Comandi!", scatto, pure se sto al camerino. "Di che marca, signò?".
"Animalo! stiamo ancora a questo? Voglio e' Mabbò, pacchetto oro. Fuori!",
E questa è una. Pooooi, poi non parliamo quando sta ingrifato, mi riferisco alle sere che c'ha il bisogno sessuale. Non mi dilungo perchè sapete a cosa alludo. Stu diec 'e scem, cu tutte e femmene che potrebbe avere, neh, di chi si va a sfessiare? di una madonnina infilzata! hai voglia a dire che è ricco, potente e affermato, che fuori porta c'è la fila, una chiorma di donne con certe cosce e zizze da svenire. Credete che gli importa? Se se, sentite cosa dice: "Voglio a Lucia mia, Gennà, 'a cchiù bella da 'nfrascata, vai e portala".
Che volete ribattere? tu con le donne è meglio che lasci stare? oppure: ma che uomo sei, uno che acchiappa in conto terzi? sapete che fine farei?
"Agli ordini, messere", gli rispondo. Apriti cielo. "Gennà, stiamo nel 600! - si fa paonazzo - e tu ancora co' messere? ma dove credi di esistere, al tempo di Alighieri? Bestia! se ci legge un critico scoppia il pata pata dell'acqua: ci licenzia a tutti!"
Quanto lo affocherei, in quei momenti, mi verrebbe perfino di tornare al mio treno. Ma poi si sa, la carriera esige, e perciò mi inchino:
"Come la volete stasera?"
Ci pensa, liscia il pizzetto e poi esplode, gli occhi sgranati dalla lussuria. "Leopardata! sìì, quanto mi arrizza il tanga con le macchie!" "Scappo, allora".
"Ma dove vai, cretino? me la vuoi portare in mutande? dicci di mettersi la pelliccia... Gennarì, ma mi raccomando, che sia di visone scuro. Intesi?"

Intesi una cippa. La signorina Lucia tiene i vizi. "Stasera preferisco il castorino", se ne esce appena arrivo. "No, signò, fatemi il santissimo piacere, il padrone ha detto di mettervi in visone". "Il visone?", porta le nocche ai fianchi, "e chi lo tiene? gliel'avevo pure chiesto, al piglianculo, e sai che mi ha risposto? c'ho le spese!"
Non è vero, questa donna mente, gliel'ho visto io, con questi occhi, il visone. E' che ne vuole un altro, ecco il motivo, perciò fa la preziosa. Inzomma lo piglia, come dire, per il sesso! Ieri sera mi ha detto. "Gennà, tu mi sai, sono una povera orfanella, faccio i salti per arrivare a fine mese."
"Vabbè, ma io che c'entro?"
"Ci azzecchi eccome. Mo' vai da lui e dici:" la signorina è indisposta"
"P'ammore e ddio! sapete dove mi manda?"
"Ma dove vuoi che mandi! quello è tutto fumo eccetera eccetera. Stammi a sentire, digli che c'ho le cose, e se lui si ingrifa, se piglia e scassa tutto, piazzi la botta."
"Sarebbe?"
Sarebbe che con il doppio visone il ciclo si appara. Mi capisci?"

Io? so che tornato a casa è scoppiata la guerra. Quel delinquento mi ha preso a schiaffi e nerbate al culo. E non vi dico quando si è visto davanti le mie chiappe. Non lo riporto perchè la voce gira, e se lo sapesse dottor Manzoni altro che rimorsi, quello si getta da sopra abbasso... scusate un momento, il talefono.
Pronto, casa Rodriguez, chi parla?....signò Manzoooni!! quale onore, passo il padrone? no? a me proprio volete? prego ...sì, sì, aaah, dite di ieri sera? ...no, don Manzò, un equivoco, diciamo un qui pro quo, sapete com'è il dottò Rodrigo, no? ... ma certo, è un'indecenza, 'na sporchizia... come come? vi è venuto l'infarto? uuuh, come mi dispiace...e come mai? per causa nostra ? dottò ma vi sentite bene, io non ho fatto niente, lo sporcacciono, il sodoma e gamorra è stato lui ..... oscellè, lo sanno tutti, quello c'ha il vizietto.... noooo, mica ho detto che ce l'avete pure voi? mai mi permetterei, il padrone, dicevo... come dite? ... eggià, questo pure è vero, alla fine ci rimette l'autore, eeeh, lo so, i critici, la reputazione, la storia patria, le chiacchiere della gente, su questo avete tutte le ragioni... no, adesso non vi seguo, come sarebbe? la colpa è tutta mia? ennòòòò, ennòòò, don Alessandro mio, questo è davvero troppo, sono una persona per bene io! che ci posso fare se don Rodriguèz è nu figlie e'.... zitto, per l'amor del cielo, non la dico la parola, voi però mettetevi nei miei panni .... sì, lo so, ubi maior io cesso... eggià, lui però c'ha il nome, e io ... eccerto, solo il treno.... cooome? eccellè! questa è una stilettata al cuore... per carità, non mi riferivo a voi - mannaggia la marina, oggi ne azzeccassi una! - anzi, i migliori auguri di prontissima guarigione... volevo dire che io... che inzomma... ah, già avete deciso? Stop, non dite niente, capito tutto, da domani sveglia alle sei eeee... sul serio? allora resto? madò, proprio sicuro? e cosaaa, inzomma chiii... dovrei? potete ripetere per piacere? io nei panni di...oscellè, voi vi sentite bene? ... massì che tengo alla carriera, ma mi state chiedendo di...pronto, prontoooo!

Gesù, chist è veramento pazzo, a questo gli ha dato di volta la cervella. Sapete che mi ha offerto? che ne parliamo a fà, non ci credereste! Vabbè ,lo dico, vah, tanto i cazzi sono i miei. Da domani prendo servizio in qualità di.... Monaca di Abbiategrasso!!!!



[continua]



Carlo Capone © 2005




TAGS:   
racconti   
Amore Lontano -


Amore Lontano - "Sebastiano Vassalli" (Einaudi) 2005

Pubblicato da: Admin  /  Letture: 2791  
Sebastiano Vassalli affronta in questo suo ultimo libro l'affascinante viaggio della parola attraverso i secoli. A metà strada tra un saggio ed un romanzo, Vassalli traccia il profilo di Omero, Qohelet, Virgilio, Rudel, Villon, Leopardi e Rimbaud, coloro che più hanno colpito la sua fantasia ed il suo cuore con l'uso magico della parola. I ritratti che escono fuori sono particolari, specialmente per chi, come me, ha conoscenze scolastiche di questi autori. Il sentimento di tormento che li accomuna, la vita quasi sempre breve e sofferta, sembra quasi un trait d'union che scavalca epoche e luoghi. I ritratti più affascinanti mi sono sembrati quelli di Virgilio, uomo scontentissimo alla fine del capolavoro che tramanderà il suo nome nei secoli, e quello più vicino, per tempo, studi e cittadinanza, del Conte Giacomo Leopardi, il quale afferma, a proposito di Napoli di non poter "più sopportare questo paese semibarbaro e semiaffricano", anche se deve ammettere che "da un anno e mezzo non posso altro che lodarmi della mia salute". Vassalli afferma che in queste parole si compie il miracolo di Napoli, che converte al gusto della vita il poeta della "Natura Matrigna" e "dell'appressamento della morte". Affascinante e misterioso è anche il ritratto che schizza di Jaufrè Raudel, forse per l'aura che ha sempre circondato i trovatori. Raudel è l'inventore della poesia come distanza, come "amore lontano". Discorso che continua poi con il "maledetto" Francois Villon, ladro, assassino, autore di un Lascito e di un Testamento in cui dipinge un affresco magistrale della società parigina dell'epoca. La particolarità è che tali componimenti erano stati scritti per un pubblico da osteria o per i suoi amici studenti della Sorbona, non certamente per fini "alti". La Conclusione di Vassalli merita un cenno, essendomi parsa la parte, forse, più bella del libro: "La parola è l'unica prova dell'esistenza di Dio (...) e ogni tanto ci manifesta la sua presenza per mezzo di uomini come Omero, o come Rimbaud" (...) E' l'unico miracolo possibile e reale, in un mondo dominato dal frastuono e dall'insensatezza. E' la voce di Dio"Mi sembra, sinceramente, un?affermazione bellissima, profonda. "La poesia è la vita che rimane impigliata in una trama di parole (...) Io dico "Il tacito, infinito andar del tempo" (Leopardi). E, dovunque io mi trovi, vedo l'universo con le sue galassie, e percepisco il silenzio degli spazi infiniti come una sensazione fisica. Mi sembra che tutto scivoli via, e di scivolare via insieme al tutto""Siamo personaggi di un poema indecifrabile e finito", ma "noi possiamo avere un'immagine di noi stessi (...) Quell'immagine era, è, e continuerà ad essere nel tempo finchè esisteranno degli uomini, la poesia."

Mercoledì, 11 Maggio 2005

Inviata da giaguaro


Commenti: Orso 12 Mag 2005 - 13:07
------------------------------------------------------------
Una recensione che zampilla dal cuore, che fa di Giaguaro un lettore rarissimo, direi senza retorica prezioso. La passione che lo lega ai libri si tocca con mano. Vassalli, il più manzoniano degli scrittori viventi, come ebbe a dire lui stesso a proposito del giudizio dei suoi critici. Ricordo una sua critica a I promessi Sposi. In sostanza, diceva a San Salvatore, Alto Vergante, Manzoni commette un errore di prospetiva storica. Un ras della Lombardia del 600 non manda i bravi a intimare che il matrimonio eccetera eccetera. No, se la ruba e zitti. E' semmai il signorotto dell'800 che segue la procedura raccontata. Quanto ai suoi romanzi concordo con Giaguaro che il migliore è 'Marco e Mattio' ( mi ricordai di quel libro a Pasqua, durante una gita nelle valli ampezzane e del bellunese), però questo saggio - e lo dico non avendolo letto. Merito di Giaguaro, dunque- contiene i frutti delle lunghe notti, magari insonni e in soffitte, passati a meditare sulla letteratura. Bellissima l'intuizione della parola come frammento di Dio. La parola, la parola, caro Giaguaro, questo siamo noi. Nel senso alto del termine, ovviamente.


TAGS:   
SPAZIO SCRITTURA : L'UOMO CHE SALIVA SUI TRENI [3] - di Carlo Capone


SPAZIO SCRITTURA : L'UOMO CHE SALIVA SUI TRENI [3] - di Carlo Capone

Pubblicato da: Admin  /  Letture: 699  
L'UOMO CHE SALIVA SUI TRENI
di Carlo Capone


- Parte terza -

E inzomma, pare che qualcosa si muova. Ieri vado da quel cornuto del sindacalista, già immaginando la faccia, e che ti vedo? sorriso a dieci denti e sputazzelle.
"Gennarì!", è scattato in piedi "ho trovato il lavoro che fa per te".
"Azz!", ho esclamato. E avrei voluto aggiungere "ossia?", ma il rigurgito, l'acido da pasti in stazioni di provincia mi hanno impietrito. Tanto che si è pure preoccupato:

“Tutt'appost,Gennà?"
Embè, quanto lo odio quell'individuo, primo perchè gli puzzano le ascelle, poi perchè sputacchia quando parla, e ancora per quella sua aria di guappo. Ma si rende conto? - tanto vorrei eccepire - non se ne accorge? con i suoi modi, il portamento, le sputazze, lei è la rovina della categoria!
Sissignori, avete capito bene, la categoria dei personaggi! lo spudorato un tempo questo faceva, il personaggio nei romanzi. Chi di preciso non si è mai capito, un amico di Abbiategrasso però giura fosse uno dei bravi del 'Fermo e Lucia'. Per l’esattezza quello che spulciava don Rodrigo. Li conoscete gli scrittori, no? so' volubili, cambiano idea ogni minuto. E inzomma, don Alessandro ci ripensò e scaricò sulla moglie. "Richè", la scuoteva mentre la poverina già dormiva, "Richè, tu devi aiutarmi, c’ho i rimorsi".
Povera svizzerina, è morta di crepacuore, sia per il disgusto - troppi bucati per quel zozzone di marito – vuoi per i nervi a pezzi. E che matriosca, quest’uomo in perenne senso di colpa fa uscire scemi.

Inzomma don Alessandro si era messo in testa che il Fermo e Lucia fosse audace, ma neanche -come dire?- licenzioso. Lui era un pio, faceva la comunione ogni mattino, alle strette: temeva il giudizio post mortem. Epperciò tormentava la consorte, chiedendone in continuo savi consigli.
Quella notte la signora esplose. Sedette in mezzo al letto, incendiò il petrolio e fece: "Senti Alessà, noi ci dobbiamo chiarire, una volta e buona, qui non si può più andare avanti!".
"Mia cara Enrichetta", iniziò a picciare il sommo.
"Ma qua cara e cara, Alessà, io c'ho i nervi a pezzi! e oggi è la signorina Lucia, e domani è quell'altro, come si chiama aspè...."
"Lorenzo?"
"No-oh! Quell’altro, il delinquento. Evvedi se mi esce, il principe, il marchese, il conte di sto caz..."
"Enrica! tu deliri, amore mio.."
"Iiiio? tuuu, sei tu il pazzo! il Conte, il Conte del Sagrato, mo’ mi è uscito, te lo ricordi adesso? braaaavo, e ora sentimi bene. Dunque, la pratica Conte te l'ho risolta. Fallo meno cattivo, questo ti consigliai, scrivi che tiene, che so, l'ulcera peptica, e vedi che s'aggiusta...."
"Vero, Richetta, vero. Tutto, tutto tutto s'aggiusta..."
"Col caspito che si aggiusta, tu finisci con uno e incominci con l’altro! pure coi bravi te la pigli, manco quel fetentone che spidocchia don Rodriguèz lasci stare. Neh, Alessà, ma secondo te davvero s'aggiusta? eh, no, fratello caro, non si aggiusta una cozza. Qui da sei mesi non si parla d'altro, marito bello, qui non si ripete altro che c'hai il rimorso, che lo spidocchiatore è volgare, che la tua morale di chi t'è marina non lo permette. Alessà, te lo dico una volta e buona. O la finisci con le tue manie o pianto baracca e pupazzetti e me ne torno in Svizzera. Vabbuò?"

Ora io pensavo all'amico di Abbiategrasso, mentre tacevo, fantasticavo del mio sindacalista nei panni di quel bravo. Tutto sommato la soffiata era giusta, il mio tizio la faccia da guappo ce l'ha eccome. Mai però avrei pensato a quanto mi ha detto. Riporto:
"Gennarì, tu lo sai, ormai so’ vecchio, e quello che è fatto è fatto, insomma ho i miei acciacchetti. Quindi...."
"Allora?"
"E perciò sai che ti dico? getto la spugna, inzomma ti propongo come mio sostituto nel Fermo e Lucia! eh, che dici?"

Che dico, in prima battuta mi fa schifo, però un posto nel Fermo e Lucia, oh, è un'occasione. Chi se ne importa del ribrezzo, o che il libro è in tiratura limitata, e se è letto solo dagli addetti ai lavori: qui c'è in ballo una gran carriera! Già mi ci vedo. Dagli oggi e dagli domani un bel giorno vado all'anagrafe e ci dico: "Basta con Gennaro Ficuozzo, da oggi chiamatemi dottor Tramaglino!"



[continua]




Carlo Capone © 2005


TAGS:   
racconti   
SPAZIO SCRITTURA : L'UOMO CHE SALIVA SUI TRENI [2] - di Carlo Capone


SPAZIO SCRITTURA : L'UOMO CHE SALIVA SUI TRENI [2] - di Carlo Capone

Pubblicato da: Admin  /  Letture: 1825  
L'UOMO CHE SALIVA SUI TRENI
di Carlo Capone


- Parte seconda -

Oggi il finimondo, all'ufficio Personaggi, per poco non finiva a schiaffi. Ho spalancato la porta e sbraitato:
"Basta! o mi trovate un posto migliore o straccio la tessera". "Tu il treno te lo tieni e ciccia", ha risposto l'addetto, dopo un attimo di stupore " chi credi di essere, Harry Potter?"
"Per carità, ci mancherebbe, è che mi sento... come dire, demotivato. Vorrei fare carriera".
"La carrieeera?", stava per zomparmi addosso, "ma voi guardate, vuol fare la carriera!".
Si è stirato la faccia con le mani e ha ripreso:
"Gennarì, guardiamoci negli occhi, te lo ricordi quando eri disoccupato?"
"Non mi sovviene".
"Allora t'aiuto io. Per prima cosa siamo andati da Starnone, dice niente il nome?"
"Urca".
"Bravo, e hai dimenticato che disse?... nooo, per piacere, non mi fare la scena, tu la risposta ce l'hai presente eccome. 'Non m'interessa' - se ne uscì Starnone - 'il viaggiatore di treni è ottocentesco, tratto altri prodotti io'.
Poooi...effammi parlare, santiiddio, io ti ho fatto sfogare .....cosa dicevo? ah sì, l'altro tentativo, la volta che andammo da Camilleri. Ti ricordi le sue parole? nooo? e mo’ ti rinfresco io. Dunque, domandò Camilleri: "Parla le lingue il signore?". “Caspita – saltasti - francese e tedesco a menadito”. Gennà, tu mi conosci, faccio 'sto mestiere da trent'anni, sai quanto la causa mi stia a cuore, ma la vergogna, l'umiliazione di quel giorno non me le scordo. "Miiiii", eccepì Camilleri, "che me ne fotte a me di inglese e tedesco? di lingua sicula li cerco! è nato almeno in Sicilia?". Tu e quella maledetta bocca, solo a mangiare ti serve! invece di uscirtene con finezza, che so, con uno 'scusasse ammia, sbagliai indirizzo', embè che mi combini? attacchi la pippa col personaggio di estrazione padana, con le invenzioni emiliane alla Paolo Nori e dulcis in fundo con i problemi di approccio del lettore friulano. No, Gennà, lascia che te lo dica, io per causa tua ho sfiorato l'infarto! e non mi dire che me ne fregai, guarda che tale infamia non l'accetto! ne abbiamo girati una decina, di grandi scrittori, e ce ne fosse stato uuuno! interessato. Come dici? parla più forte, per favore... le sceneggiature televisive? guarda che io mi alzo e ti piglio a schiaffi, sai? questo non me lo dovevi dire! ma ti sei guardato in faccia, ti sei visto allo specchio? c'hai la gobba, Gennà, e pure gli occhi storti: chi cazzo vuoi che ti pigli in televisione! gesù gesù, quest'essere è la mia rovina, questo imbecille imbranato mi fa uscire pazzo. Ma come, dico io, dopo tanto penare, dopo aver bussato a cento porte, finalmente hai trovato un bravo ragazzo, una persona pulita che, udite udite, disdegna le mazzette, uno che aggratis, Gennarì, per senza niente ti ha pigliato! e tu che fai? voglio la promozione, datemi aereo e segretaria! Ma vai affanculo, vai, e ringrazia dio che il giovinotto ti ha messo sopra un treno! lo sai come poteva andare? non scappare, vieni qua, ti piacerebbe adesso! a fare lo schiattamorto, sissignori, così potevi finire! e si lamenta pure il signorino, ma tu vedi il cielo"

Giuro, non volevo scappare, ho solo rinculato per pigliare la rincorsa, e poi avventarmi e mangiarlo vivo. Hannibal! ecco chi volevo essere, così vedeva di che pasta sono ! ma poi, mannaggia la marina, il pensiero dei figli, di quel fottuto treno a vapore - che non sarà il massimo ma è pur sempre un posto - tutto questo mi ha trattenuto. Ho solo detto 'evabbene', a pugni in tasca e capo chino, e solo allora mi sono accorto della macchia sui pantaloni.
"Sporcaccione!", mi ha subito assalito, "pure addosso ti fai?"
"Embè che vuoi, il tuo treno a vapore è senza cesso".



[continua]



Carlo Capone © 2005


TAGS:   
racconti   
SPAZIO SCRITTURA : L'UOMO CHE SALIVA SUI TRENI [1] - di Carlo Capone


SPAZIO SCRITTURA : L'UOMO CHE SALIVA SUI TRENI [1] - di Carlo Capone

Pubblicato da: Admin  /  Letture: 776  
L'UOMO CHE SALIVA SUI TRENI
di Carlo Capone


- Parte prima -

Questo è l’appello di un poveretto, una mezza sega che lavora nei romanzetti. Come invidio i sei colleghi di signor Pirandello! altro che orfani in cerca di un tutore: sono famosi loro, con casa alla Maldive, baby sitter calabrese e pensione puntuale. Io l’autore ce l’ho, anzi ne ho anche parecchi, ma non è questo il problema. I miei padrini so’ ragazzi, al più apprendisti, nel migliore dei casi scrittori falliti: insomma, tutta gente che prima o poi scrive una storia sul viaggiatore. Eccomi qua, allora, vengo allo scoperto: quel tizio sono io. Sissignori, letto bene, di mestiere faccio il personaggio del treno. Ma ora basta, perbacco, sono stufo! Da oggi pretendo l'aereo. Sono un personaggio per bene, io, mica lo sfigato che passa la vita su e giù dai predellini! E mica finisce, a forza di entrare e uscire dai tunnel m'è venuta l’otite, e la notte faccio sempre il medesimo sogno: uno tsunami che ci accoppa mentre passiamo il Po a Cremona. E questa è una. Poi non parliamo del profilo morale. E chi mi fa cornuto, chi malato, chi serial killer, chi giocatore in fuga. Ce ne fosse uno che mi mettesse, non so, sul Pendolino! con gentile hostess che ti serve il giornale, la pay tivvù con la squadra del cuore e la vettura ristorante con Vissani. Macchè, dove campi, il personaggio di un treno è per definizione uno messo male, meglio se avanzo di vita o galera. No, dico a voi, egregi scribacchini, avete idea della mia disgrazia? è facile impastare fregnacce, fare gli artisti standovene in poltrona ! ma andateci voi in seconda classe, per piacere, pigliatele voi le puzze di piedi e di altro, i lamenti della tizia col nonno all'ospedale o le pernacchie dei bambini cui devi rispondere 'uh, che carino!, se no la mamma si incazza e il racconto esce male. Basta! è ora di mettere le cose saa posto, sono un personaggio normale: con moglie, 4 figli e un lavoro al catasto. Ma quale asassino! fatemi il favore, l'ultima volta che ho ammazzato una mosca non ho dormito la notte!
Ma figurarsi, a che serve imprecare?, domani sveglia alle sei, chiamata del solito stronzetto di autore (“Gennarì, ci muoviamo?”) e di corsa su quel cazzo di treno. Che è pure a vapore, ferma a ogni stazioni e tiene solo la terza classe! Ora io non discuto, il lavoro è lavoro, ma che vi costa mettermi su una littorina? o un regionale a due piani del tipo panoramico? No-oooh, a vapore deve essere, altrimenti non fa atmosfera. E va bene, scrivete pure, continuate coi tangheri e gli assassini, lunedì vado al sindacato e pianto il casotto. O mi pagate una sostanziosa diaria, inclusa l'indennità da labirintite, o le scorregge ve le sorbite voi!



[continua]




Carlo Capone © 2005



TAGS:   
racconti   
L'Abusivo -


L'Abusivo - "Antonio Franchini" (Marsilio) 2001

Pubblicato da: Admin  /  Letture: 1390  
Io ho pochi anni di differenza rispetto a Giancarlo Siani, per cui la sua vicenda la ricordo con maggiore dolore e partecipazione.

Ricordo quel giorno di settembre in cui ci dissero che avevano ucciso un giornalista, un ragazzo, al Vomero: la mia famiglia, le persone che frequentavo, avevano un'alta coscienza civile, per cui questa notizia ci ferì ancora maggiormente.

Non ho mai trovato alibi sociologici, culturali o folkloristici per i camorristi, forse anche per il ricordo della vicenda di Giancarlo, uno dei primi omicidi che esulavano da quel famigerato codice d'onore camorristico.

Abbiamo poi visto cosa è diventata la kamorra negli anni successivi: ancora più bestiale, sanguinaria, cieca..

Il libro di Franchini ha il merito di ricordare a tutti noi quale era l'ambiente in cui è maturata la vicenda-Siani, lo squallore e l’assoluta pochezza morale (se mai fosse possibile usare questo termine, riferito ai camorristi) di questi loschi figuri che decidono l'omicidio di un ragazzo perché li aveva infamati.

Fa da contraltare, però, anche l’ambiente lavorativo in cui Giancarlo lavorava, e qui Franchini tratteggia mirabilmente, riportando le loro parole, i ritratti di ignavi, di cerchiobottisti, di ipocriti, di sciacalli.

Il direttore di Napolinotte a cui interessava solo sapere se la vittima fosse un pubblicista o un vero giornalista è l’emblema di un certo ambiente provinciale, chiuso, gretto.

Credo che il merito di Franchini sia stato questo: far parlare chi conosceva Giancarlo, senza aggiungere commenti, quasi fosse un’intervista giornalistica.

La differenza però la fa lo stile: uno stile originale, unico.

L’idea di mischiare napoletano, italiano, l’intreccio familiare con la vicenda generale è mirabile: emerge la figura del Locusto, questa nonna quasi centenaria egoista, vitale, vittimista, anch’essa contrapposta a Zio Rino, quello che dove lo metti sta, vegliardo bonaccione ed eroe familiare.

E’ un libro da leggere per due motivi: per ricordare un ragazzo che ha pagato con la vita la sua passione giornalistica, e perché questa sua passione è stata descritta con altrettanta passione da un amico (che scrive divinamente)


Inviata da giaguaro


TAGS:   
Vai a pagina  1 2 3 4 5 6 7 8