EDITORIALE : L'ILLUSIONE E IL DISINCANTO


EDITORIALE : L'ILLUSIONE E IL DISINCANTO

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Ieri ho accompagnato mia figlia alla stazione. L'ha invitata un'amica di Torino con cui andrà ad una festa. Se lo merita, il regalo, ha superato a pieni voti un importante esame universitario, dunque ho accordato il permesso. Giusto? Come no, giustissimo, mia figlia ha venti anni, la vita sua non è più esclusivamente mia, cosa eccepire ? niente, il gran resto di niente, anche se ...non so, magari… insomma, anche se la situazione vissuta aspettando il treno da Milano vestiva panni surreali, un frullato di percezioni che stento a ordinare. Le metterò in fila, queste percezioni, così come affiorano alla mente, e sono certo che in un modo o l'altro mi piglieranno per mano e sbocceranno a un fine. Lo so, già me ne accorgo mentre scrivo, si disporranno come perle, o forse minuscoli diamanti, o ancora luccichini, in ogni caso formando una collana di pensieri conseguenti.

Dunque, innanzitutto Torino, poi mia figlia, poi un treno che va, e infine un sentimento, la sensazione del distacco, quasi che un po’ di me si replichi dentro lei e per suo tramite riviva una partenza, che so, un addio, lo stesso di quando lo presi anch'io un treno, in una sera calda e inzuppata d'acqua, salutando da un finestrino sporco un panorama di ombre, luci febbrili e di edifici lontani. Che dicevo? ah, la collana. Questa collana brilla, riverbera bagliori, illumina una ragazza che va via, neghittosa, mentre trascina dietro sé una valigia a ruote. Bella, è bella la mia figlia, e non lo dico perchè sono suo padre, sarei un meschino. Lo affermo con un pizzico di angoscia, la stessa che ho provato osservandola da lontano, di quando il disincanto ha spazzato l'illusione e allora ho visto, l'ho finalmente guardata come lei pretende si faccia : una donna, mia figlia, questo era agli occhi miei, nient’altro che una donna. La rivedo, adesso, ricordo bene quegli istanti, mentre cammina senza ancheggi, muove con accorta pigrizia il compasso lieve delle gambe. Cos'altro vedo? Certo, una matassa di capelli, lunghi, arricciolati da uno dei due versi, uno solo. La vedo, la inseguo con lo sguardo, e mentre osservo io lo so, capisco si allontana, col passo indolente e tuttavia sicuro e un pizzico ingobbita dal trascinare. La seguo, la fisso stupefatto, e ne ammiro le spalle, le stesse che mi ha dato dopo il bacio di rito.
Quando hai una figlia di vent’anni le occasioni per parlare e capire, sentire, assorbire, non sono molte, dicevo, specie se è impegnata nelle sfide sue e quelle spalle te le ha già voltate. Non per disamore, questo no, ma solo perchè ansiosa di orizzonti, di guardare avanti, né più e né meno come faceva alla stazione. Ieri guardava il treno per Torino, da qualche anno quello della vita. Mentre si era in auto, e si esprimeva in un accento padano così impeccabile da spingermi all’irritazione (può la gelosia, l'angoscia da distacco, portare a tutto questo?) mentre discorrevamo, a un tratto ho chiesto: " Ma tu, con i tuoi amici, non fai nulla per rivelare le tue origini napoletane?" "Non posso - ha risposto al nulla - e non mi puoi capire. Già il cognome è un manifesto, figurati se parlassi un po' diverso".
Ciao, oggi sarai a Torino, a quella festa ci saranno questo e quello, mi racconti, e mentre fingi e dici ‘uffa, sai che gente con la puzza al naso?', gli occhi ti brillano per il dannato treno che abbiamo preso tutti e due. Tu per la festa della vita, io per tornare alla mia, la festa di un luogo della mente che abbandonai in una sera d'acqua. Ciao, Napoli non più mia. E forza, tanta forza per questo vecchio cuore tuo.

Carlo Capone


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