EDITORIALE : La mia Fiera


EDITORIALE : La mia Fiera

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La mia Fiera è un lenzuolo che ondeggia sul Lingotto. C’è scritto dentro Fiat, era il novantanove. La mia Fiera è un Premio Nobel alto, rubizzo e ridente, che gira tra la folla come uno di noi. La mia Fiera è festa, la festa di una bella Italia, di folla in ressa per un libro invece che ai cancelli dello stadio, di bimbi in groppa a quel coyote di Ezekiele, di giovani abbracciati al sole.
Ma la mia Fiera è anche distillato di gioia, grappa purissima da maremoto in petto, quando prego mia moglie - io non ce la faccio - di spiare a quel certo stand kappa e numeretti. E perciò la mia Fiera è il viso suo in fiamme, mentre mi agita una copertina. La mia Fiera è ti voglio bene, perché sei la prima ad acquistare il mio libro e in quell’istante è l’intimità di una sera, quando aprì un pacchetto e cavò l’anellino di Abrami. Complici tanti anni fa come quel Maggio del duemila e quattro.
La Fiera del 2006 è desiderio un po’ ingenuo di incontrare uno scrittore, un uomo da cui mi separa diversa visione di vita ma sento di apprezzare. Non domandatemi il motivo, né crediate sia spinto da interessi: benché io scriva non ci andrei mai per l’immancabile manoscritto dei miei stivali. Dunque, arrivo al suo presidio, chiedo di lui e mi sento dire “stava qui, ma dove è andato? Aspetti, eccolo: Giulio, c’è uno che ti cerca”...

Giulio Mozzi te lo immagini severo, perduto dentro i suoi teoremi, con l’aria sussiegosa da signore di lettere e management editoriale. Invece è un po’ folletto, gli occhi vivaci semichiusi, le bretelle in vista e i capelli arruffati. Mi ha ricordato uno della combriccola di Il Maestro e Margherita, ma nel suo caso, invero, la resa è di accattivante diavolaccio che si fa il segno con l’acqua consacrata.
Mi presento, aggrotta appena, mi sorride: “eccolo il grande assente della banda Braga”. Ossignùr, mi dico io, mi ha preso al mento. “L’hai comprato il suo libro?”, incalza. “Venuto anche per questo, certo”. Va all’esposizione e me lo mostra: “paura di perdere la faccia, eh?”
Uno scrittore o spiazza o non è tale, Giulio Mozzi ha avuto un amen a disposizione per ribadire la tesi. “Ma no - gli faccio, sotto il colpo - “a stento ne ho una e manco sono certo”. No contest, dai, dico a me stesso barando sul verdetto. “Ora però fammi vedere i libri”, e gli consegno i guantoni. Pronti! E’ già sopra al suo orto di primizie.
E insomma, io sono un bibliofago, lui un diavolo di scrittore, artefice di sorti e abile venditore. Si vede, lo si capisce a un miglio che a Giulio Mozzi piace da matti vendere. Però attenti, non mostra, o almeno dissimula con perizia, quell’ansia levantina di piazzare. C’è piuttosto il candore di quando da bambini si giocava a vendere questo e quello, e Giulio Mozzi ti vende la sua anima fanciullina. Quando siamo al terzo acquisto, e mia moglie ci osserva come mamma i suoi bimbetti, e io indico a Giulio una copertina rossa infiammandomi su ‘questo qui, Giulio, è davvero speciale’, e lui si dà una pacca in fronte e sorride beato, confessando che ‘mi sono divertito un mondo, hai visto l’ambaradàn che ha messo in piedi?’, quando insomma la Fiera è svanita e ci siamo solo io, Mozzi e la comune dannazione, e ci intendiamo malgrado la radiazione di fondo del Lingotto, mi ricordo di presentargli mia moglie. “E’ un grande – lo indico tra goccette di bava – con Voltolini scrive i racconti migliori. A proposito, ma il Dario si è fatto una pera prima di Bandiere?” Allora Giulio Mozzi cava il coniglio e le fa omaggio di Sotto i cieli di Italia. “Ce lo trovi, abbiamo fatto una miscellanea”, dice tutto felice. Ed io allora, al colmo di estasi lecchina, aulicamente declamo: “Costui è un centauro, scrive e sa di costi fissi diretti”. “Centauro?”, fa Giulio Mozzi che, rammento, è lì per vendere, “allora prendi questo”, e mi molla Tecnologie affettive, di Maurizio Torchio. “Che ci azzecca?”. “Centauri, no? Leggilo e vedrai”. E siamo a quattro. Il resto l’ha prodotto Vibrisse, meglio, Bartolomeo Di Monaco con la lettura di Magliani. Però quel giorno, saranno stati la Fiera, le Tecnologie Affettive e Giulio Mozzi, il nome di Marino non mi esce. ‘Il ligure, dammi anche lui’, gli faccio, e Giulio Mozzi lo issa come un pescatore il suo pesce fresco.
E’ un pescatore, Giulio Mozzi? Di talenti direi che sì. È un venditore? Della sua anima fanciulla certamente. È un manager, Mozzi Giulio? Questo non saprei ma credo che l’impresa lo intrighi più di tutto. Ciò su cui metto mano è quel suo candore, la capacità intatta di stupirsi quando mia moglie chiede ‘posso fotografarvi tutti e due insieme?’, e Giulio Mozzi non capisce, ha un’espressione a significare ‘E chi sono, Brad Pitt?’. Ci pensa un niente, annuisce e avverte ‘aspettami che esco’: ecco il centauro spuntare allo scoperto. “Pronti? - si impettisce a bella posta - eh no, l’acconciatura!”. Si ravviva i capelli, mi pone il braccio sulla spalla e mentre scocca il lampo la gente guarda e pensa: “Azz! Grandi personaggi qui alla Fiera”.

Carlo Capone



Pubblicato su vibrissebollettino il 10.05.06


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