SPAZIO SCRITTURA : L'UOMO CHE SALIVA SUI TRENI [5] - di Carlo Capone


SPAZIO SCRITTURA : L'UOMO CHE SALIVA SUI TRENI [5] - di Carlo Capone

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L'UOMO CHE SALIVA SUI TRENI
di Carlo Capone


- ultima parte -


Se'ncontro signò Manzoni gli faccio il mazzo a paniere! So' buono e caro, io, ma quando è troppo basta. Qui si è passato il limite, questo è canasciuto come un romanzo per bene, ma lo dovesse sapere la gente cos'è. Sadoma e Gamorra! ecco il capolavoro della cultura taliana! inzomma vi pensate a una storia casa e chiesa? a un romanzo della provvidenza dove vince il più buono? se se, questi sono una maniata di pervertiti, e perciò vuoto il sacco, così si impara l'illustrissimo dottor Manzoni! la vendetta, tanto si merita dopo quanto che è successo.
Dunquo, dovete sapere che la signora Cecilia - la conoscete, no? come, la famosa monaca di Monza - ebbene sta signora telefona ogni sera al sottoscritto, un povero scartellato ridotto a vestirsi da suora di Abbiategrasso. Dicevo, la gran dama chiama e fa:
"Gennarì, che fai di bello?"
"Niente, signò, guardavo la tivvù".
"Uuuh, povero quel figlio, solo soletto?"
"Embè, madame, che vi debbo dire, questo passa il convento ".
Se la cosa si fermasse qua, niente a dire, la pigliassi per una gentilezza: in fondo parliamo di un'esponente del jet set letterario, embè, scusate. Foss o' cielo! sentite invece la conversaziona.
"Senti, Gennarì - riattacca - io c'avrei un'idea".
"Dite, signò, qua stanno i guaglioni vostri".
Non ho capito, parlate più forte, con questa fascia sulle recchie si ammoscia l'udito. Aaah, che il burdello me lo cerco? in parte è vero, ma che fareste al posto mio, ja, voglio sapere? le diciarreste 'madame, ma ve ne iate a fa' int o' culill'? e certo che non lo direste: doppo tanti sacrifici, paccheri, sputi in occhio e altro che è meglio tacere, ci andreste a dire 'signò, ma a chi vulite sfottere a chest'ora?'. Lo vedete che ho ragione?
E allora, dove eravamo rimasti, ah sì, all'idea.
"Caro Gennaro - prosegue donna Cecilia - tu stai ad Abbiategrasso, io confinata al monastero di Monza, perchè non ci vediamo? ci facciamo un the coi biscotti, quattro chiacchiere insieme e si fa ora di andare a letto..."
E me lo dite alle otto di sera?, ci vorrei tanto dire, proprio mo'che avevo gettato la pasta e schiattato due pummarole nella tiana? macchè, il miraggio di guadampio e carriera mi va sempre in culo. Gennarì, mi penso a me, che ti costa farci il piacere? chi, io? per carità, in linea di principio niente: da qui a Monza con la tangenziale non ci vuole assai. Il pobblema è un altro, e ve lo spiego.
Arrivo al monastero alle dieci e subito si mette male.
"Chi bussa a 'sto convento?", mi fa la matre superiora.
"So' la monaca di Abbiategrasso, signò, aprite", dico io, ammagari sotto la pioggia o la neva.
"Ma vafammocca - se ne esce la badessa - con questa vocia mi vuoi fa credere che sei una suora?"
E inzomma, stiamo almeno un quarto d'ora a fa' la jacuella. Io che apparo la vocia di femmina e lei che risponde ' vattenne a' casa,ricchi!'.
E questa è una.
Fortuna che vuole iddio sento dei passi, poi un appiccico femminile a base di 'zoccola!' e 'vafanculo, bizoca!'. Finalmente si apre il portone, e chi ti vedo? la signora Cecilia in perzona. "Entra Gennà, stai senza pensiero", mi tira un braccio, e con una pacca in culo mi votta alle scale.
Bell'appartamento c'ha donna Cecilia. Tre camerette con cucina monoblocco e cesso alla turca. E non vi ho detto del salotto! come spiecare, inzomma divani in broccato, tavoli con sicarette e cioccolatini e stampe liberty al muro con donnine annude. Una scicchezza! Da ' addio tabarin', a dirla breve.
E così ci assettiamo e iniziamo a chiacchierare, la signora mi offre biscottine e Mabbò e fino a questo niente di male. Il guaio viene all'intrasatto, quando lei se ne esce: "Neh, Gennarì, ma tu non senti freddo?". E che ci volete rispondere, specie se è agosto? signò, ma voi tenete la freva?
La tiene, la tiene la freva, ce l'ha in mezzo alle cosce! E ieri sera è successo il fatto. Mi aveva preso le mani dicendo " e scaldami un pochino, evvai", poi se l'era strusciate sul petto, poi s'era levata la tonaca, poi era uscita tutta annuda, e poi mi aveva azzeccato un pacchero iastemmando 'gennà, ma tu si' scem o ricchione?'.
E io allora m'ero levato la vesta, e poi mi stavo togliendo calze e scarpette, inzomma era successo tutto questo quando - cosa mai successa - si è sentito un colpo alla porta. "Uh, marò, Egisto!", è avvampata. Egisto? - ho detto anch'io, mentre i colpi si ripetevano fuoribbondi - e chi è stu diec e' scem?"
"Alfabeto!", si è inzolfata, facendo un zompo al divano per fottersi i miei pedalini, " non sai che è mio marito?"
Uno strummolo, così ci ho rimasto. Ma come, la monaca di Monza maritata? "Strunz!", mi ha sputato in occhio, mentre infilava la sottana , "lo sanno tutti che siamo marito e moglie. E mo' che faccio?".
E mo' che faccio io!, ci avesse voluto dire. Quello dava a capate alla porta e da un momento all'altro la sfonnava. Io non sapevo che fare, ero... inzomma mi sentivo, come spiegare?, ecco ero come sfessiato! E si capisce, sarà stata la strizza, la carna annura, i quadretti piccanti, cert'è che avevo pure... inzomma ero ...uffààà, e c'ho veggogna c'ho! - sang e chella marina, questa dimitezza mi frocolea!- vabbuò, adesso lo dico: per la paura ero venuto sul parquet!....la mia salvezza. Quel cornuto fetente, infatto, a un bel momento la porta l'ha sfonnata, e quando m'ha visto col fringuello da fuori ha realizzato. "Io ti sbudello, cane!", e si è avventato senza addonarsi della sfacimma per terra. C'è salito e ha pigliato nu maronn e' sciuliamazz, tanto che ha fatto due capriole e ha sbattuto la capa. Stump! mi aveta credere, una palla di cannone avrebbe fatto meno guai. Ha sbattuto così forte da restarci, una salvazione!
Donna Cecilia mi ha fatto cenno come a dire ' pigliat e' pezze e vavattenne!' e io, modestamente, ho colto al volo. Ho fatto Monza- Abbiategrasso in mezz'ora su una fetente di Uno, che non c'ha manco il condizionatore. E corri co'. Mezz'ora fa, erano le sette e dormivo, ha squillato il cellulare.
"Pronto chi parla?"
"Sono io"
"Io chi, scuso?"
"Lo sai bene, animale!"
"Uh, Giesù, questa voce la canosco. Per caso siete dottò Man..."
"Zitto, fetente, non nominarmi invano, pe causa tua c'ho il telefono sotto controllo! stammi a sentire e basta!"
"Comandi, sono tutto orecchie"
"Questo è sicuro, essendo ca tu la capa la tiene pe' tenè spartute le recchie! Dunque, Ficuò, tu sei la rovina mia, da quando sei dei nostri le sto passando una a una. Tralascio lo scandalo Don Rodrigo culattone, che pur misi a tacere, ma anche la mia Cecilia adorata dovevi inguaiare? Signore buono! avevo tenuto la cosa tra detto e non detto, ero stato citato dai critici per l'accortezza, la levità con cui affrontai il tema di Cecilia -storia scabrosa assai, Gennà! dai risvolti inquietanti e bestiali- embè, oggi apro il Corriere e che leggo? la monaca di Monza, sposata e con figli, sorpresa dal marito con certo Ficuozzo. In prima pagina, Gennà, e a caratteri cubitali! Enrichettaaa! dolce mio amore, i sali e l'aceto, per cortesia, io sdilinguisco"

E crepa, altro che svenire, tu all'inferno devi andare! per tutto il malo che ho passato per causa tua ! sapete che è successo? mezz'ora dopo di nuovo il cellulare.
"Il signor Ficuozzo?", chiede una voce femminile, di accento teutonico.
"Sono io"
"Ecrecio sig-nore", attacca.
"Scusate, ma chi siete?"
"Enriketta Blondel, fede107nte!, sposata Manzoni"
"La moglie diii...?"
"Anche secretaria, preko"
"Dite dite"
"Lei è licenziato, esimio ciovanotto. Passi alla cassa per likidazzione. Clic"

Stai fresco se ci vado, se mi piglio quei quattro pidocchi si fanno illusioni. Mo' faccio la valicia e me ne vaco. Gnorsì, domattina c'è il regionale alle sei per Varigotti. Stateve buò!


FINE



Carlo Capone © 2005




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